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l’inchiesta

I segreti del “clan degli zingari” «benedetto dalla ‘ndrangheta» svelati dal pentito Mirarchi

Il collaboratore di giustizia ha fornito ai pm elementi cruciali per ricostruire le gerarchie e le zone di “controllo” del gruppo criminale nomade Bevilacqua-Passalacqua

Pubblicato il: 23/12/2023 – 18:07
di Giorgio Curcio
I segreti del “clan degli zingari” «benedetto dalla ‘ndrangheta» svelati dal pentito Mirarchi

CATANZARO Dal 2017 in poi il cosiddetto “clan degli zingari” ha assunto una sua autonomia strutturale e operativa rispetto alle altre cosche di ‘ndrangheta grazie al conferimento delle doti da parte delle cosche attive a Catanzaro, Cutro e Isola Capo Rizzuto «per consentire loro di interagire all’interno delle dinamiche mafiose». Una decisione che avrebbe consentito agli “zingari” di acquisire sempre più elementi per poter agire poi in modo indipendente nel settore del traffico degli stupefacenti, ma anche in quello delle armi, delle estorsioni e reati contro il patrimonio «avvalendosi della forza di intimidazione mafiosa» È questo uno dei passaggi chiave dell’operazione condotta contro il clan nomade di Catanzaro “Passalacqua-Bevilacqua” nei confronti dei quali proprio la Dda del capoluogo ha chiuso l’indagine, chiedendo il processo per 82 persone qualche settimana fa.

Il contributo di Santo Mirarchi

Oltre alle ricostruzioni investigative, un prezioso contributo alle indagini è stato offerto dai pentiti, tra cui Santo Mirarchi, collaboratore di giustizia dal 2016, condannato a 10 anni di reclusione per l’omicidio di Luigi Grande avvenuto il 12 agosto 2009. Mirarchi è da tempo una fonte inesauribile di spunti investigativi fondamentali per gli inquirenti, i suoi racconti sono stati decisivi in tante altre inchieste: dal processo “Kyterion” al colpo al caveau della Sicurtransport, passando per l’inchiesta che ha svelato il potere delle cosche Arena e Grande Aracri su Catanzaro. E poi l’assegnazione degli appalti pubblici a Catanzaro, il processo “Rinascita-Scott” e “Imponimento”. Insomma, il collaboratore di giustizia ha raggiunto uno status di assoluta credibilità, con gli inquirenti che, dalle sue dichiarazioni in poi, hanno dato il via a numerose inchieste giudiziarie.Ed è stato proprio Santo Mirarchi – assistito dal difensore Michele Gigliottia fornire agli inquirenti spunti essenziali, dall’organigramma del gruppo criminale degli “Zingari” fino al coinvolgimento di altre figure determinanti, come Domenico Sacco, agente della polizia penitenziaria ritenuto «a disposizione del gruppo criminale». Mirarchi, in particolare, in un verbale del 5 marzo 2016 ha riferito che «durante un periodo di carcerazione presso la casa circondariale di Catanzaro, Sacco lo ha aiutato ad avere contatti con l’esterno facendo entrare un telefono cellulare in cambio di 200 euro».

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«Hanno il loro canale, dottò»

È ancora Mirarchi a descrivere agli inquirenti le dinamiche interne alla famiglia degli “Zingari”. Parlando della famiglia dei “Gamberi”, distingueva Armando Abbruzzese, il quale collaborava con lo stesso Mirarchi nel traffico illecito, dai rimanenti fratelli, indicandoli come «tutti trafficanti di stupefacente e costituenti un unico gruppo, con un canale di approvvigionamento diverso rispetto agli altri gruppi nomadi operanti nella zona sud di Catanzaro e specificatamente in Viale Isonzo». Di Maurizio Abbruzzese raccontava «(…) è soprannominato “’U Gamberu”, è il fratello» (…) «Abbruzzese Maurizio si chiama e posso riferire che vende droga (…) non lo so, cocaina sicuramente». Di Giovanni Passalacqua, altro indagato nell’inchiesta, il collaboratore di giustizia ha detto che era legato agli esponenti delle cosche di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto e di Ciro.

Le dichiarazioni di Mirarchi

«(…) a proposito di Passalacqua Giovanni, alias “U Gigliotti”, so che è il suocero di Dante Mannolo. In passato è stato coinvolto in rapine e si dedica abitualmente a fare truffe. È molto amico degli esponenti di ‘ndrangheta di isola Capo Rizzato e di Cirò, conosce tutti i capifamiglia di ‘ndrangheta e questi ultimi conoscono lui. È molto benestante (…)». E ancora: «(…) nelle occasioni in cui sono stato a Isola Capo Rizzuto è capitato più volte che Paolo Lentini mi incaricasse di mandare da lui Passalacqua Giovanni “U Gigliotti”». «Ricordo che nell’occasione relativa al danneggiamento dell’autovettura di Lo Bello, Passalacqua è venuto presso il mio bar per chiedermi se Paolo Lentini sospettasse di lui. Io l’ho rassicurato che ciò non era accaduto in quanto io stesso avevo garantito per i rom». A proposito del traffico di droga, Mirarchi ha parlato anche del ruolo di Giovanni Passalacqua. Si riforniva «da Reggio, dagli Strangio e dai Morabito (…) dai Morabito, quello che so io confermato da loro, perché molte volte quando andavo a Isola Capo Rizzuto (…) parecchie volte mi fermavo là perché è sulla strada che vende materiale edile e parecchie volte mi fermavo a parlare con Dante (Mannolo ndr) e lui mi diceva come tagliava la cocaina. In poche parole, il taglio della cocaina che facevano, mi viene da ridere per come si raccontava, in poche parole neanche lui la tagliava, la moglie, la moglie che era la figlia du Gigliotti…». «(…) in poche parole, la sbriciolava là e la tagliava con la preccoca che riusciva ad avere tramite un dottore, roba di taglio anestetico che non potesse fare male, e la tagliava. Lui un chilo la faceva un chilo e due, un chilo e tre».

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Le zone sotto controllo

«Loro la vendono nelle zone della Presila, ultimamente gliel’avevano rifornita anche a Mario ‘ndei zoni là de Gigliotti e Sorbo San Basile, Taverna, Zagarise, ogni tanto li favoriva per questioni diciamo di favori, qualche cosa l’ha rifornita anche a Roccelletta al figlio di Pepe Graziano, giusto per fare qualche favore per scambiare i favori tramite Nando Catarisano, allora ogni tanto chiede al nipote “Vai là e prendine mezzo chilo…». Il ruolo degli Abbruzzese è descritto dal collaboratore di giustizia Santo Mirarchi le cui dichiarazioni saranno poi confermate dal ritrovamento avvenuto il 17 ottobre 2017 di un ingente quantitativo di droga nella disponibilità di Antonio Abbruzzese. Inoltre, dalle intercettazioni, gli inquirenti sono riusciti a ricavare numerosi elementi che attestano il modus operandi degli Abbruzzese, i quali avevano strettissimi rapporti con Domenico Passalacqua. «Armando con me era, era con me» racconta al pm Capomolla «(…) cocaina sicuramente…».

Il gergo del gruppo

Le dichiarazioni ai pm di Santo Mirarchi hanno poi trovato riscontro dalle intercettazioni che hanno consentito di compiere diversi arresti in flagranza nelle zone di viale Isonzo a Catanzaro. Così come è emerso, infatti, i capi sarebbero Domenico Passalacqua detto “U Bifaru”, e i suoi cognati Massimo Bevilacqua “Malloccio” e Luciano Bevilacqua. Per quel che concerne il linguaggio adoperato dagli associati, essi usavano i seguenti termini per indicare la droga: Ciaurò, bianca, la brutta, la cosa, merce, roba, materiale, la nera. Con il termine “ciaurò e bianca” è stata indicata la cocaina, mentre con la parola “nera” è stata indicata l’eroina. Per quanto concerne il denaro, così come ricostruito dagli inquirenti, gli indagati hanno spesso utilizzato il termine “giammardi”. In altre circostanze si è accertato che i sodali hanno modificato i vocaboli, aggiungendo alla fine degli stessi la particella “nesi”. Ad esempio, per indicare la quantità dello stupefacente, spesso espresso in grammi, gli indagati hanno utilizzato il termine “gramminesi”, in altre circostanze il solo termine (ad esempio “dieci gramminesi” o “dieci nesi” per indicare 10 grammi). Con i termini “lacri e italiani” gli indagati hanno inteso indicare le persone acquirenti o i soggetti fornitori di droga; in alcune occasioni, invece, le persone italiane con le quali gli indagati hanno intrattenuto rapporti o a cui hanno fatto riferimento, le stesse sono state indicate con il termine “rocorò”. (g.curcio@corrierecal.it)

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