CATANZARO “Valorizzazione ai fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata”: è questo uno degli obiettivi della Giunta regionale, che, su proposta dell’assessore all’Organizzazione e alla Transizione digitale con delega alla sicurezza e alla legalità Filippo Pietropaolo, ha elaborato una vera e propria “Strategia” per incentivare il recupero e il riutilizzo ai fini sociali o istituzionali dei beni sottratti alla ‘ndrangheta.
La “Strategia” regionale parte da una puntuale – e finora inedita – “fotografia” della situazione. Nel documento elaborato dal Dipartimento Transizione digitale e attività strategiche della Regione si evidenzia che «la Calabria è la terza regione italiana per numero di beni immobili confiscati alla criminalità ed è anche una delle prime regioni per numero di aziende confiscate. Secondo i dati dell’Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati, aggiornati al 30 novembre 2023, sono 5.104 i beni immobili (particelle catastali) confiscati dal 1982 ad oggi in Calabria, di cui 3137 sono stati destinati dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali e 1967 sono stati dati in gestione. La provincia di Reggio Calabria rappresenta il dato più significativo, ove si concentra la maggior parte dei beni confiscati dell’intera regione; di questi, 2200 sono destinati per finalità istituzionali e sociali mentre 1097 sono quelli ancora da destinare. Fanalino di coda è la provincia di Vibo Valentia, che risulta quella con più il più alto numero di beni ancora da destinare. Le aziende confiscate sono 533, di queste 227 sono state destinate e 309 sono in gestione».
Puntuale è anche, nel documento allegato alla Strategia della Regione, l’analisi del contesto settoriale, un’analisi che evidenzia come «la maggior parte dei beni immobili confiscati è costituita da fabbricati ad uso residenziale… in genere, non conformi dal punto di vista urbanistico e sismico mentre i terreni nella gran parte dei casi sono incolti o abbandonati. Ne discende che la proposta di riutilizzo, per gli enti assegnatari, che sono in genere i Comuni, diventa particolarmente onerosa e richiede tempi procedurali lunghi. Questi elementi si annoverano come criticità strutturali. Inoltre – si legge ancora nel documento – la lungaggine delle procedure amministrative e il protrarsi oltremisura dei lavori costituiscono un ulteriore elemento critico. Spesso, infatti, si arriva alla conclusione dell’operazione con forti ritardi”. Altra criticità è la sostenibilità economica dell’operazione “poiché tanto i Comuni, soprattutto se piccoli, quanto le associazioni no profit non hanno disponibilità finanziarie tali da mantenere efficiente e funzionale l’immobile… Sovente l’ostilità del territorio conduce al degrado della struttura e indebolisce l’azione amministrativa del soggetto destinatario del bene. Per tal motivo occorre creare una forte sinergia istituzionale, coinvolgendo i vari attori ed impedendo che si crei un pericoloso isolamento che porterebbe il singolo ad abbandonare definitivamente il percorso di legalità intrapreso».
L’analisi allegata alla “Strategia” della Regione evidenzia poi che «le aziende formano un caso singolare e particolarmente difficile poiché la maggior parte di esse arriva alla confisca definitiva completamente destrutturata, priva di risorse umane e finanziarie talché l’unica strada obbligata sembra essere la liquidazione o la vendita anziché la reimmissione nel circuito dell’economia legale… Rimane ancora alto il dato della chiusura delle aziende in fase di sequestro… Stando ai dati relativi alla Calabria, pochissime sono le aziende che sono rientrate nel circuito legale dell’economia; la maggior parte di esse infatti è stata liquidata o destinata alla vendita e al 30 novembre 2023 ne risultano attive solo 16. In siffatte condizioni diventa particolarmente difficile impiegare risorse comunitarie o nazionali; varrebbe la pena investire in attività di formazione per i soggetti che gestiscono beni confiscati e per gli amministratori giudiziari che devono affrontare il processo di risanamento delle aziende».
La Calabria ha avviato il percorso di valorizzazione dei beni confiscati con il ciclo di programmazione 2007/2013, in attuazione di una specifica legge regionale, ovvero la numero 5 del 10 gennaio 2007, sono stati istituiti i “Contratti Locali di Sicurezza”: attraverso questo strumento e, più in generale, attraverso le politiche di coesione, in Calabria sono state finanziate 106 operazioni per il riuso dei beni confiscati. Un ulteriore sforzo – si legge nel documento della Regione – è stato compiuto con il Pnrr, che ha stanziato 300 milioni di euro per il recupero e la valorizzazione dei beni confiscati nelle sole regioni del Mezzogiorno, di cui euro 250.000.000,00 da assegnare tramite avviso pubblico e euro 50.000.000,00 per la partecipazione alla procedura concertativa negoziale. A seguito dell’avviso pubblico in Calabria sono stati finanziati 59 progetti mentre altri (31) sono risultati idonei ma senza copertura finanziaria. La conseguenza: «E’ di tutta evidenza che l’investimento messo in campo, seppur consistente, non risolve la questione complessiva del recupero e valorizzazione dei beni confiscati. La mole dei beni in Calabria, infatti, raggiunge numeri ragguardevoli per i quali lo sforzo fin qui dispiegato rischia di essere vanificato o poco incisivo. A fronte di un patrimonio confiscato di oltre 5.000 beni, tra immobili e aziende, sono state stanziate ad oggi risorse per poco più di un centinaio di progetti». Ne consegue ancora – spiega la Regione – che «occorre cambiare la strategia di intervento sui beni confiscati, agendo su direttrici diverse. Da un lato occorre rafforzare la fase di avvio delle attività, una volta che i lavori sono stati ultimati e l’immobile è stato riattato, dall’altro è opportuno supportare gli enti locali tanto nella fase di predisposizione dei progetti, che non possono essere solamente meri progetti di lavori pubblici, quanto nella fase di gestione attraverso l’individuazione dei soggetti più idonei cui affidarla». (c. a.) (segue)
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