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l’indagine

«Tu sei marocchino, noi siamo calabresi». Le ingerenze della ‘ndrangheta tra gli stand del Caat di Torino

L’inchiesta “Timone” della Dda di Torino ha fatto luce sul metodo criminale utilizzato dal gruppo legato alle ‘ndrine calabresi nel centro agroalimentare di Grugliasco

Pubblicato il: 25/12/2023 – 19:35
di Giorgio Curcio
«Tu sei marocchino, noi siamo calabresi». Le ingerenze della ‘ndrangheta tra gli stand del Caat di Torino

TORINO «Devi pagare perché sono soldi nostri» e ancora «tu sei marocchino, noi siamo calabresi». Si sarebbero rivolti così al titolare della “Amafrut” nello stand 29E all’interno del Caat, ovvero il Centro Agroalimentare di Torino. I presunti responsabili sono i fratelli Domenico e Vincenzo Albanese, arrestati nel corso dell’operazione, così come è emerso nella recente inchieste della Procura della Distrettuale antimafia di Torino, coordinata dai pm Paolo Toso e Francesco Pelosi. In particolare, Domenico Albanese, qualificandosi come proprietario della G&C FRUIT ed esibendo alcune fatture, «sosteneva di dover esercitare un credito di 40/50 mila euro derivante da forniture di prodotti ortofrutticoli ottenute da “Amafrut” presso il mercato generale di Fondi», così come riporta il gip Rosanna Croce nelle pagine dell’ordinanza.

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Gli affari nel Caat di Grugliasco

I fratelli Albanese, insieme a Carmine e Giorgio Forciniti conducono un’attività di commercio di frutta e verdura all’ingrosso all’interno dell’area mercatale gestita dalla Società Consortile Centro Agro Alimentare di Torino (Caat) a Grugliasco, il più grande mercato ortofrutticolo all’ingrosso della provincia di Torino. Gli incontri ricostruiti dagli inquirenti tra Mimmo Albanese, Forciniti, Onofrio Garcea e Francesco Viterbo «dimostreranno la funzionalità di tali accordi a far entrare questi ultimi all’interno del Caat, nell’intento di allargare la propria sfera d’influenza e guadagnare nuovi spazi commerciali». La figura di Carmine Forciniti e il suo spessore criminale sono già emersi nell’inchiesta “Minotauro” e da alcune conversazioni in cui lo stesso Forciniti, di fatto, era a disposizione di Giuseppe Nirta, classe ’65 di San Luca, «col quale doveva organizzare un trasporto di sostanza stupefacente dalla Spagna».

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L’inchiesta “Timone”

Sono alcuni dei dettagli emersi dall’inchiesta “Timone” condotta dalla Procura di Torino. Il blitz, qualche giorno fa, è stato eseguito dagli uomini della Guardia di Finanza del capoluogo piemontese, e ha portato all’emissione di cinque misure cautelari, 3 in carcere e due con obbligo di dimora, ma, soprattutto, ha fatto luce sulla presenza delle cosche di ‘ndrangheta all’interno del Centro Agroalimentare. Gli episodi risalgono, in particolare, tra la fine di novembre e il 27 dicembre del 2019.

Prendere lo stand

Il disegno degli Albanese-Forciniti all’interno del Caat era «l’appropriazione dello stand 29E». Dopo i primi tentativi, Vincenzo e Domenico Albanese ci riprovano otto giorni dopo. Le minacce proseguono, con il chiaro tentativo – scrive il gip nell’ordinanza – di sottrarre lo stand con un atto predatorio. «Tu adesso troverai molta difficoltà a lavorare, però noi ti aiutiamo… L ’unico modo è che ci vendi lo stand e tu continui a lavorare con noi, scarichi la tua roba, perché noi possiamo caricare tutto il mondo intero». Questa la frase rivolta da Domenico Albanese al titolare dello stand. «Noi i soldi dobbiamo recuperarli e li recuperiamo. Da noi non si sbaglia nessuno, non si scherza» gli fa eco Vincenzo Albanese. Così come ricostruito dagli inquirenti e riportato dal gip nell’ordinanza, i due convocano nei giorni seguenti la vittima nell’ufficio di Carmine Forciniti e lo fanno incontrare con Francesco Napoli, soggetto già condannato in via definitiva per i suoi legami con la ‘ndrangheta in Piemonte. «Tu vendi lo stand a loro e lavori per loro, ti danno 2.500/3.000 euro e lavori», questa la proposta di Carmine Forciniti alla vittima che, al contrario, propone un prezzo di vendita di 50mila euro.

Le cessione forzata

Sul tavolo un “debito” vantato dagli Albanese nei confronti della vittima, utile per cercare di far abbassare il prezzo di vendita dello stand, anche con la forza. «Vedi che solo noi possiamo farti lavorare! Stai con noi che ti facciamo lavorare alla grande…». E così, qualche giorno dopo, il gruppo convoca la vittima dal notaio dove sarà successivamente formalizzata la cessione d’azienda, al prezzo (fittizio e mai versato) di 20mila euro, impiegando 16mila euro per la fideiussione «stipulata dalla vittima per onorare i debiti della Amafrut verso il Caat per la locazione dello stand 29E».

Viterbo e Garcea

Gli inquirenti hanno quindi ricostruito la presenza, ingombrante, degli uomini legati alla ‘ndrangheta in Piemonte all’interno del centro. Tra questi spicca il nome di Onofrio Garcea, già condannato definitivamente il 28 ottobre 2020 al termine del processo “Maglio 3”, e considerato uno dei vertici della ‘ndrangheta piemontese, insieme a Francesco Viterbo. L’attività di indagine ha permesso di evidenziare un altro importante aspetto legato al rapporto tra Domenico Albanese ed il duo Francesco Viterbo e Onofrio Garcea, ovvero la disponibilità di Domenico Albanese a utilizzare nell’interesse comune del gruppo la “G & C Fruit Srl”, società operante all’interno del Caat, al fine di ottenere un finanziamento da parte di un istituto di credito. Così come scrive il gip nell’ordinanza, «l’importo che avrebbe incassato la società come si vedrà non sarebbe stato destinato a fini imprenditoriali ma avrebbe rappresentato un ritorno economico per le parti in causa coinvolte».

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Le arance dalla Spagna

«…noi anche qui cerchiamo di comprare le arance con Mimmo dalla Spagna, con le ditte tutto a posto… stiamo cercando di fare qualcosa… lavorare onestamente con la Spagna con i camion… comunque niente dai quando vieni su poi facciamo due chiacchiere a voce…». A parlare è Francesco Viterbo mentre fornisce dettagli a Garcea.  «…lui sta variando… che compriamo un altro posto…». È Viterbo, anche lui intercettato, a illustrare a un imprenditore la figura di Mimmo Albanese, cercando di fugare ogni dubbio rispetto alle informazioni che circolavano nel centro agroalimentare. Così come è emerso nel corso dell’inchiesta, infatti, «Domenico Albanese, nell’ambito di un contesto criminale più ampio, controllava diverse società operanti all’interno dell’area mercatale del centro di Grugliasco».

«Un bel business, è un bel business»

«… però è lui che deve far lavorare la società no no…». Infine, gli interlocutori «si sono mostrati concordi» scrive il gip nell’ordinanza «sul fatto che sarebbe stato direttamente Domenico Albanese a occuparsi, per conto del gruppo, della gestione della “ESSE PROCUREMENT LOGISTIC AND SERVICES SAS”, ovvero spettava a lui far lavorare l’impresa». Un incarico “consacrato” dallo stesso Onofrio Garcea. Lo stesso Albanese, poco dopo, si unisce all’incontro, parlano di una società di «un amico» e dell’assicurazione pari a poco più di 10mila euro. «E vabbè… 10.000 euro già per iniziare … 10.000 euro sono un bilico di arance già!». Questa merce, però, non verrà successivamente pagata costringendo il venditore «a dare esecuzione alla polizza stessa e chiedendo dunque l’intervento economico in solido da parte della compagnia assicurativa» scrive il gip nell’ordinanza. Si tratta, riportando le testuali parole di Domenico Albanese, di «un bel business, è un bel business», quello costruito all’interno del Centro agroalimentare di Torino, nel quale «sono pienamente coinvolti anche Onofrio Garcea e Francesco Viterbo». (g.curcio@corrierecal.it)

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