LAMEZIA TERME Dall’amore da riscoprire e ritrovare per far rinascere Lamezia Terme, al messaggio di speranza e legalità che rischia – soprattutto tra i giovani – di essere oscurato dalle derive incontrollabili dei social media. Come sua abitudine il testimone di giustizia, Rocco Mangiardi, non usa giri di parole per esprimere le sue preoccupazioni ma anche le proprie speranze per il nuovo anno.
Rocco Mangiardi apre la sua attività di autoricambi a Lamezia Terme, una città che da decenni è teatro di crudeli e sanguinarie guerre tra cosche che si combattono per il controllo del territorio. In particolare nei primi anni 2000 la famiglia Giampà è impegnata in una spietata faida contro la famiglia Torcasio che lascia sul terreno una impressionante scia di vittime: una guerra che devono finanziare e ben presto anche l’attività di Mangiardi finisce nel mirino. Lui però non ci sta, si ribella e denuncia i suoi estorsori. Un gesto che consente di aprire una prima crepa nel muro di impunità che sembrava avvolgere il clan: grazie alla testimonianza di Rocco Mangiardi, infatti, il potente boss Pasquale Giampà detto “Mille lire” viene condannato insieme ad alcuni dei suoi killer più feroci, segnando di fatto l’inizio della fine per i Giampà, messi alle strette dalle inchieste che consentono alla magistratura di infliggere colpi decisivi alla struttura del clan.
Intervistato dal Corriere della Calabria in occasione del dibattito organizzato dall’ex sindaco, Gianni Speranza, partendo dal suo ultimo libro fino al confronto con le espressioni politiche e amministrative dell’epoca 2005-2015, Rocco Mangiardi ha illustrato cosa, secondo lui, servirebbe alla città di Lamezia. «Siamo qui per Gianni Speranza perché sta presentando questo libro, ma è più che altro un momento di confronto tra vecchi amministratori, vecchi, non recenti amministratori, di minoranza e di maggioranza. È una buona occasione perché Lamezia Terme è una bellissima città che dovrebbe essere presa per mano, come una madre, come una figlia, perché è lei che ci fa vivere bene o male in base a quello che noi scegliamo». Secondo Rocco Mangiardi «ci sono molti nodi che vanno affrontati: dalla sanità, all’istruzione, un sacco di cose su cui c’è bisogno di lavoro, perché dobbiamo metterci tutti insieme, si devono mettere tutti insieme, al di là delle posizioni politiche, perché la città è una e noi dobbiamo essere con questa bella città».
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L’ultima occasione per parlare con Rocco Mangiardi è stata quasi storica, la prima sentenza a un maxiprocesso con la ‘ndrangheta nell’aula bunker di Lamezia Terme. Dall’inchiesta “Rinascita-Scott” al messaggio di speranza e legalità da diffondere ai giovani il passo è brevissimo, ma i rischi che venga disperso sono più elevati di quanto si crede. «Certamente – ha detto Mangiardi – c’è molto da fare. Io da quel momento, ma anche prima, ho sempre cercato di incontrare i giovani, creare con loro un dialogo, perché sono del parere che nessuno nasce buono o cattivo, così come nessuno nasce mafioso o persona per bene. Sono le persone che incontriamo a far sì che costruiamo un qualcosa su cui dobbiamo andare avanti. Io credo che tra sparare e sparire, come c’è scritto nel libro di Gianni Speranza, è meglio sperare».
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Il testimone di giustizia ha poi offerto un suo punto di vista sulla vicenda legata ai social e al profilo TikTok denunciato dalla nostra testata e che inneggiava alla ‘ndrangheta, insultando i collaboratori di giustizia. «Era già successo in passato, io ho fatto una denuncia in tal senso forse 7-8 anni fa, il sito non è stato chiuso, però parlando con i magistrati, con le varie Procure, insomma, tante volte non li fanno chiudere questi siti ma perché servono anche a loro per le attività investigative per ricostruire legami e tanto altre cose come indagini, come legami, e altre cose». (g.curcio@corrierecal.it)
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