REGGIO CALABRIA Chi è “Joe” Zangara? Un emigrante calabrese, nato a Ferruzzano nel reggino, il paese dei palmenti: le antiche vasche scavate nella roccia e collegate da un canale, in cui avveniva la pigiatura dell’uva per produrre il mosto. Una infanzia difficile la sua, raccontata da Gioacchino Criaco in un articolo di qualche anno fa. «La madre morì e il padre lo mandò a lavorare a 6 anni, gli venne un mal di pancia che lui attribuì alla fatica e lo perseguitò per tutta la vita».
Gli anni in Calabria segnano il giovane Joe, che come tanti scappa via in America inseguendo un sogno a stelle e strisce. Sembra la classica storia raccontata in quei film con le immagini in bianco e nero che ritraggono centinaia di persone in fila con una valigia di fortuna e qualche moneta nella tasca, pronte a salpare su una nave o a prendere il primo treno. “Little“ Joe, in realtà, fugge per inseguire il suo destino lontano dalla Calabria. Un anarchico naif, un insolito comunista, un lucido killer o un testardo ribelle? L’emigrante calabrese, alto un metro e cinquanta, ha mille volti ma il suo nome si legherà per sempre ad una pagina di cronaca americana, rimasta nella storia. Giuseppe Zangara ha attentato alla vita del presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, quell’omicidio mancato avrebbe potuto modificare il corso della storia. Il suo “delitto contro lo Stato” viene punito con un “delitto di Stato”, la vita del calabrese si spezza a soli 33 anni, quando muore fulminato sulla sedia elettrica, il 20 marzo del 1933. Qualche giorno prima, il 15 febbraio del ‘33, a Miami, sbagliò mira mancando il presidente americano e centrando il sindaco di Chicago, Anton Cermak. Fu un colpo decisivo per la vita del primo cittadino americano, che morì (per errore).
Un colpo di scena nel triste epilogo del calabro-americano Joe, condannato a morte per un omicidio che non avrebbe voluto commettere. Una storia da raccontare hanno pensato gli autori de “La mia idea. Memoria di Joe Zangara”, prodotta da Zahir e Teatro Rossosimona, che ha debuttato negli Stati Uniti e in Canada. «Non c’è il tentativo di una ricostruzione filologica della personalità di Zangara – spiega Ernesto Orrico, attore e autore – piuttosto, attraverso l’intreccio tra voce monologante e le sonorità degli strumenti a corda, si esercita la possibilità di animare la (auto)biografia sentimentale di un condannato a morte. La vicenda narrata è emblema e pretesto per far emergere le storie di una umanità dolente accomunata dall’emigrazione, le storie di uomini e donne senza nome che non hanno raggiunto il ‘sogno americano’, e che nel tentativo di raggiungerlo si sono scontrati con ostacoli insormontabili, con difficoltà che li hanno condotti verso esiti tragici».
«Mi sono avvicinato a questo lavoro – commenta Massimo Garritano, autore ed esecutore delle musiche originali – con discrezione, cercando di evitare interventi didascalici e favorendo un punto di vista evocativo. Io sono, a volte, Joe Zangara: il suo dolore, la sua rabbia, i suoi pensieri. Ma sono anche ciò che lui incontra, vede, osserva, tocca. Nel corso dello spettacolo mi ritaglio momenti di libera improvvisazione, reagisco agli impulsi emotivi che la storia emana attraverso l’interpretazione dell’attore, intervenendo in punti sempre differenti e con un approccio non convenzionale». (f.b.)
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