Ultimo aggiornamento alle 11:39
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 8 minuti
Cambia colore:
 

il bilancio

Da ‘Ndrangheta stragista alla “caccia” ai latitanti: un anno di lotta ai clan a Reggio Calabria

Il lavoro della Dda reggina contro la criminalità organizzata. Tra le maggiori inchieste: “Hybris”, “Eureka”, “Malea”, “Atto quarto”, “Garden”

Pubblicato il: 30/12/2023 – 20:05
di Mariateresa Ripolo
Da ‘Ndrangheta stragista alla “caccia” ai latitanti: un anno di lotta ai clan a Reggio Calabria

REGGIO CALABRIA Un processo di particolare importanza che ha messo in evidenza la capacità di instaurare forti alleanze da parte della ‘ndrangheta con altre organizzazioni criminali, prima tra tutte Cosa nostra: il processo “‘Ndrangheta stragista” che si è celebrato in appello a Reggio Calabria è stato sicuramente uno dei più importanti che hanno caratterizzato e segnato il 2023 con una sentenza della Corte d’appello reggina che è arrivata la sera del 25 marzo dopo un lungo dibattimento. Per il distretto giudiziario reggino è stato un anno di operazioni contro la criminalità organizzata, tra quelle più importanti ci sono le inchieste “Hybris”, “Eureka”, “Malea”, “Atto quarto”, “Garden” contro le cosche di ‘ndrangheta che su tutto il territorio reggino hanno dimostrato capacità di infiltrazione nei più svariati settori, oltre alle capacità di rigenerazione e di imporre il proprio potere attraverso intimidazioni ed estorsioni. Traffico di stupefacenti e armi le attività illecite svolte maggiormente. Ma la guerra contro i clan reggini viene combattuta anche attraverso la cattura dei latitanti, tra i risultati più importanti messi a segno dagli investigatori negli scorsi anni c’è sicuramente l’arresto in Brasile nel 2021 di Rocco Morabito, soprannominato “U Tamunga”. Nato ad Africo nel 1966 e latitante dal 2019 quando era evaso da un carcere uruguayano, Morabito era il numero due della lista del Ministero dell’Interno dei più ricercati dopo Matteo Messina Denaro. Un lavoro di investigazione che va avanti attraverso un ufficio che si occupa esclusivamente di ricerca dei latitanti, come dimostrato anche nel 2023.

Il processo “‘Ndrangheta stragista” e i legami con Cosa nostra e politica

L’inchiesta e il processo “‘Ndrangheta stragista” «avrebbero meritato maggiore attenzione», ha detto il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri nel corso dell’audizione nella Commissione parlamentare antimafia. Il processo ha visto condannati all’ergastolo anche in secondo grado Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, il boss di Brancaccio e l’esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro, già condannati in primo grado per l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, trucidati il 18 gennaio 1994 in un agguato avvenuto sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria nei pressi dello svincolo di Scilla.

Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano

Il processo sugli intrecci e i rapporti tra ‘Ndrangheta, Cosa nostra e mondo politico per l’attuazione della strategia stragista negli anni Novanta «non è soltanto una vicenda processuale, ma molto di più», aveva rimarcato nel corso della sua requisitoria il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. «Fatti – aveva detto il procuratore aggiunto – per i quali il tempo non passa e che rappresentano un eterno presente in cui riscontriamo accadimenti che non possiamo non considerare attuali».

La ‘ndrangheta e Cosa nostra sono state descritte come un unico corpo, «una cosa sola». L’organizzazione criminale calabrese, secondo la Procura reggina, «agì, attraverso le sue componenti apicali, d’intesa con quella siciliana» segnando per sempre la storia d’Italia con la strategia stragista. Secondo l’accusa un doppio filo legava alcuni esponenti di spicco di ‘ndrangheta e Cosa nostra. «La strategia stragista serviva per andare a soddisfare una serie di esigenze», ha spiegato ancora Lombardo riferendosi agli intrecci emersi secondo l’accusa, nel corso delle indagini e del processo, tra associazione criminale e politica.

Le inchieste

Il lavoro nel distretto reggino è stato caratterizzato anche da diverse inchieste che hanno permesso di smantellare organizzazioni criminali che si muovevano su tutto il territorio.
Nel marzo 2023 scatta l’operazione “Hybris” della Dda di Reggio Calabria che porta a 49 arresti. L’inchiesta nasce da una complessa attività investigativa condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro tra il 2020 e il 2021 che ha fotografato ancora una volta lo strapotere dei clan sul territorio della Piana di Gioia Tauro, individuando gli assetti funzionali della cosca Piromalli, di cui è giudiziariamente accertata la primazia nel narcotraffico e l’incidenza territoriale nel controllo della Piana.
Nel maggio 2023 l’inchiesta “Eureka” ha colpito in particolare le cosche Nirta-Strangio di San Luca e Morabito di Africo e ha visto la collaborazione delle Procure di Reggio Calabria, Milano e Genova, e degli investigatori dei paesi coinvolti. Sul territorio in azione i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria. Un «lavoro di squadra» che ha portato all’emissione di 108 provvedimenti cautelari (85 in carcere) dal gip di Reggio Calabria, nell’operazione lombarda è stata emessa una misura cautelare per 38 persone e per altre 15 in quella ligure. Tutte le inchieste sono state coordinate dalla Direzione nazionale antimafia diretta dal procuratore Giovanni Melillo. Un’operazione particolarmente complessa non solo per il numero dei provvedimenti eseguiti, ma anche per l’ingente quantitativo di sostanza stupefacente individuata, i sequestri di denaro e la rete associativa transnazionale sviluppata tra Italia, Germania, Belgio, Portogallo.
Nel luglio 2023 attraverso l’inchiesta “Malea” la Dda reggina svela il volto della ‘ndrina di Mammola. Il “locale” di ‘ndrangheta nel centro della Jonica controllava tutto: condizionava l’imprenditoria e le attività nel settore boschivo con il metodo delle estorsioni, e si finanziava anche mediante la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti. Alcuni dei suoi presunti membri erano già stati coinvolti, in passato, in inchieste antimafia, ma per la prima volta viene censita e riconosciuta, sebbene in fase cautelare, l’operatività di una vera propria cellula mafiosa nel piccolo centro dell’area jonica. 
Nel mese di ottobre con l’inchiesta “Atto quarto”, le indagini, condotte dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria sotto le direttive della Procura della Repubblica consentono di acclarare la perdurante operatività della cosca Libri non solo nella storica roccaforte costituita dal quartiere di Cannavò e zone limitrofe, ma anche la sua influenza nei quartieri di Condera, Reggio Campi, Modena, Ciccarello, San Giorgio, nelle frazioni di Gallina, Mosorrofa, Vinco e Pavigliana nonché nella zona centro di Reggio Calabria, porzione di territorio quest’ultima all’interno della quale vigono accordi spartitori con le consorterie De Stefano e Tegano. Il mondo dell’imprenditoria reggina è il protagonista dell’inchiesta “Atto Quarto”. Due facce di una medaglia fatta di vessazioni, richieste estorsive e minacce, ma anche di promesse, appoggi e “protezione” per poter lavorare ed espandersi. Da una parte gli imprenditori conniventi con attività «sponsorizzate dalla ‘ndrangheta», così come le ha definite in conferenza stampa il dirigente della squadra mobile Alfonso Iadevaia, dall’altra chi ha deciso di denunciare perché «stare con la ‘ndrangheta è una scelta perdente».
A novembre l’operazione “Garden” coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ed eseguita dalla Guardia di Finanza porta all’arresto di 27 persone. Una indagine che ha toccato vari aspetti delle attività criminali messe in atto dagli esponenti delle cosche Borghetto e Latella operanti nei quartieri di Modena e Ciccarello, e che ha fotografato l’alleanza con esponenti criminali della comunità rom di Ciccarello.

La “caccia” ai latitanti

Il colpo ai clan nel 2023 è avvenuta anche attraverso la cattura di latitanti ricercati da anni: è il caso di Antonio Strangio che viene arrestato a Bali nel febbraio 2023, il 32enne legato alla omonima ‘ndrina di San Luca, nota anche come “Janchi”.

La cattura di Strangio in aeroporto (foto Bali police)

In fuga da sette anni, dal 2016, Strangio – poi assolto dal gup distrettuale di Reggio Calabria – era ricercato per produzione e traffico di sostanze stupefacenti con l’aggravante del metodo mafioso, nell’ambito dell’operazione denominata “Eclissi 2”, diretta dalla Dda di Reggio Calabria e condotta dal Reparto Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria. L’indagine, naturale prosecuzione della più complessa “Operazione Eclissi”, aveva portato, nel luglio 2015, all’esecuzione di 11 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti soggetti appartenenti a cosche della ‘ndrangheta del vibonese e del reggino (legati al clan Bellocco), mentre lui si era reso latitante scappando in Australia da dove essendo stato naturalizzato cittadino australiano, non poteva essere estradato. Fine della fuga anche per un altro Antonio Strangio, 44 anni di San Luca, detto “u meccanicu” o “TT”, è stato arrestato a Duisburg. L’operazione è stata effettuata dalla Polizia tedesca, nell’ambito del progetto Interpol – Cooperation Against ‘Ndragheta. L’uomo è stato identificato e catturato a seguito di un incidente stradale in cui era coinvolto. Affiliato alla ‘ndrina dei Pelle-Vanchelli, Strangio è cugino di primo grado dell’ex superlatitante Francesco Pelle classe 77 detto “Ciccio Pakistan”.
Il 23 ottobre, all’interno di un appartamento nel comune di Gravere (Torino), in Val di Susa, viene localizzato e tratto in arresto dalla Polizia di Stato, il latitante Luca Mazzaferro, 46 anni, di Marina di Gioiosa Jonica. Mazzaferro era stato condannato in via definitiva all’esito del processo scaturito dall’operazione Circolo formato – condotta nell’anno 2010 dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, dal Commissariato di Siderno e dal Sco, che aveva consentito di disarticolare l’omonima cosca di ‘ndrangheta operante sul versante jonico della Provincia di Reggio Calabria e, in particolare, presso il comune di Marina di Gioiosa Jonica -, e per questo deve scontare un residuo di pena di 8 anni, 9 mesi e 9 giorni di reclusione, per i reati di associazione mafiosa, truffa, ricettazione ed altro. In coincidenza, però, del pronunciamento della Suprema Corte, si era reso irreperibile. Una ricerca che va avanti, «la Procura Generale di Reggio Calabria da tempo ha istituito un ufficio che si occupa esclusivamente di ricerca dei latitanti. Mazzaferro non è il primo e non sarà l’ultimo ovviamente», ha assicurato ai microfoni del Corriere della Calabria il Procuratore generale Gerardo Dominijanni.
(m.ripolo@corrierecal.it)

Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x