REGGIO CALABRIA La lieta novella della nascita del Messia come «la proclamazione di un nuovo inizio», di «una nuova ripartenza, sotto il segno della benedizione». Ma anche un invito «a vedere questa nostra realtà con occhi di fede accogliendo ancora la provocazione di Isaia che in Gesù confessiamo come profezia realizzata: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”». Nelle sue omelie, della notte di Natale e della solennità del Santo Natale, l’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone, invita ad accogliere pienamente l’annuncio cristiano della venuta del Salvatore e conseguentemente a uscire fuori da una sorta di «sonnambulismo» che come non mai attraversa la città, ma anche la Chiesa, e coincide con «un senso di apatia e indifferenza che ammorba il pensiero e conduce alla rassegnazione, già atavica da noi». Una condizione che rimanda all’immagine biblica descritta dal profeta Isaia nel brano proclamato nella notte di Natale: «situazione di confusione», momento difficile della storia del popolo d’Israele, «un cammino tutto in salita, che evoca la notte in cui non si intravedono prospettive di futuro», se non nell’alleanza aleatoria con potenze straniere. «Le tenebre dell’incertezza e dello smarrimento paralizza ogni possibile decisione, si brancola nella notte» e si cercano giustificazioni spiritualistiche che nascondono una pochezza di fede. L’arcivescovo ammette che «nel nostro territorio e nella nostra città non poche sono le piccole luci di prossimità, di solidarietà, di passione e competenze nel campo educativo, sanitario, amministrativo, imprenditoriale caritativo. Ma più forte sembrano le ombre dell’autoreferenzialità politica sociale, culturale e anche ecclesiale che disperdono in tanti rigagnoli inconcludenti e frustranti le tante belle energie che al contrario potrebbero convergere in obiettivi comuni per il bene di tutti, ma proprio di tutti coloro che abitano in questo nostro territorio metropolitano». Un’analisi che il presule riprende anche nella sua omelia del giorno di Natale. «Tirarsi fuori dal quotidiano, delegando le nostre responsabilità, con i suoi drammi e le sue incognite, le sue bellezze e le sue conquiste», afferma monsignor Morrone, «significa tradire il mistero stesso dell’Incarnazione». Tuttavia, aggiunge, «è in quest’oggi, in questo lembo calabro della nostra terra reggina, amata da Dio, che noi cristiani e cattolici, siamo chiamati a continuare la lieta narrazione del Dio invisibile attuata e portata a compimento dal Signore Gesù, Luce vera che illumina ogni uomo». Da qui l’esortazione a ribaltare l’attuale percezione di «vuoto ideale di passione civile e di responsabilità sociale che ha ricadute negative sul versante culturale ed etico e di conseguenza politico». Un contesto in cui sembra che «ognuno badi a sé, al suo particolare, al suo interesse personale che emerge proprio nei momenti cruciali delle scelte socio-politiche, rallentando il rilancio e la ripartenza di questa nostra città reggina con riflessi negativi sull’intero territorio metropolitano». «A chi giova?» si chiede il vescovo, nel rispondere retoricamente: «Forse momentaneamente a qualcuno, ma alla lunga non favorirà nessuno, si rivelerà un danno per tutti». Questa situazione «porta ad un senso di diffusa sfiducia e frustrazione e alla disistima delle proprie capacità e risorse umane e professionali che possono essere messe in campo: “tanto a che serve, non ce la faremo mai con quest’aria che tira”». È la tentazione, che contrasta la speranza dei credenti, di quanti nella nascita del Redentore confessano la possibilità di ripartire, di rinascere anche dopo tante sconfitte o abbagli». Certamente, sostiene l’arcivescovo, «non possiamo illuderci di uscire da certe situazioni con scorciatoie e comodi rimedi momentanei». Insomma, a nessun membro della comunità civile o religiosa è consentito «in questo momento non facile» di lavarsi le mani o girarsi dall’altra parte. Per monsignor Morrone, è proprio ora che «deve emergere la responsabilità dei cristiani che abitano questa nostra città». Quindi l’appello, specialmente ai cristiani «che abitano i palazzi della politica e dell’amministrazione: non desistete dall’avere una visione di ampio respiro dell’agire politico, come forma alta della carità cristiana, traduzione dell’Incarnazione del Signore. Non vi mancano le competenze e il sincero desiderio di operare il bene di tutti e per tutti», l’invito del vescovo, il quale si lascia andare a un «Forza!» che suona come incitamento a non abbandonarsi «al pessimismo o alle facili lagne». Da qui il richiamo «al sano orgoglio credente ma anche a quello che deriva dal buon senso umano e dalla passione per il bene comune. Fare un passo indietro o a lato, mettere in parentesi interessi di parte, farà bene a tutti, sarà un bene per tutti, si gusterà il bene di tutti i cittadini». L’arcivescovo conclude citando papa Francesco: «Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contribuito in maniera originale?». È questo il suo auspicio, che affida alla Vergine della Consolazione perché la nostra città possa tornare a “respirare”.
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