COSENZA La famiglia Abbruzzese operante a Cosenza e quella operante nel territorio della Sibaritide si muoverebbero seguendo modus operandi diversi. Gli “Zingari” di Cosenza e le loro relazioni con quelli di Cassano allo Jonio sono al centro di alcuni capitoli dell’inchiesta denominata “Athena” coordinata dalla Dda di Catanzaro. Il presunto legame tra il clan degli zingari cassanesi e cosentini è una variabile – per chi indaga – non trascurabile.
Del rapporto tra le consorterie, dei crimini compiuti e delle attività illecite commesse ha avuto modo di riferire il pentito Celestino Abbruzzese alias “Micetto“. È il 2019, quando davanti ai pm della Dda Alessandro Riello e Vincenzo Luberto, il collaboratore di giustizia vuota il sacco su alcuni presunti omicidi commessi dal clan.
«Non sono stato mai formalmente affiliato, lo erano i miei fratelli. Ho iniziato a delinquere intorno al 2006, dopo l’arresto di mio padre», esordisce il pentito. Che cita subito i fratelli «Antonio ed Armando detto “‘siccia nivura” erano affiliati con i nostri parenti cassanesi. Non conosco i meriti che avevano ma dovevano essere “meriti alti” in quanto gli stessi parteciparono ad una serie di omicidi». “Micetto” snocciola subito i dettagli degli episodi di cui dice di essere a conoscenza. «Gli omicidi di coloro i quali ritenevano essere affiliati ai Forastefano che avevano, nel corso del 2002 assassinato Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese. In diverse occasioni ho assistito a discorsi intrattenuti da mio padre e da mio zio che si chiama Cosimino Bevilacqua, nel corso dei quali si programmava l’omicidio di tali Sergio e Rocco che venivano indicati come appartenenti ai Forastefano». Questi ultimi avrebbero svolto il ruolo di “specchietto”, avvisando i Forastefano «dei movimenti degli Zingari a Timpone Rosso». Dopo l’esecuzione degli omicidi, «i miei due fratelli Armando e Antonio venivano a Cosenza al fine di procurarsi un alibi».
Non sempre i colpi di pistola raggiungono i reali obiettivi. Nelle azioni macchiate dal sangue e dalla polvere da sparo, capita di ferire o colpire a morte un bersaglio diverso da quello previsto nel piano. È accaduto anche nel Cosentino, come racconta Celestino Abbruzzese ai magistrati. «Conosco dei particolari in relazione all’omicidio di una persona che mori per sbaglio», al suo posto avrebbero dovuto perdere la vita i fratelli Forastefano. Il pentito narra di una giornata a Timpone Rosso insieme «ai fratelli di mio padre. Ricordo che Nicola disse che era arrivata la telefonata di tale “Popin” il quale era un appartenente al nostro clan e vivendo a Doria poteva studiare le mosse dei fratelli
Forastefano». Il racconto prosegue. «Nicola convocò immediatamente Cosimino Bevilacqua che in quel periodo viveva a Cassano» e insieme a Fioravante Abbruzzese detto “Minuzzo” «si allontanava da Timpone Rosso per andare a commettere l’omicidio». «Dopo un paio d’ore, Cosimino Bevilacqua – continua “Micetto” – è tornato a Timpone Rosso e mio zio Nicola gli è andato a parlare e poi ho assistito al dialogo intercorso. Nicola diceva quanto saputo da Cosimino e cioè che i fratelli Forastefano erano riusciti a scampare all’agguato ed era rimasto ucciso un soggetto che, per cosi dire, non “c’entrava nulla” del quale non ricordo il nome». (f.benincasa@corrierecal.it)
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