VIBO VALENTIA «Un paese della Calabria come Chicago». Un inquietante parallelismo che, un vecchio titolo de “L’Unità” utilizzò per descrivere il “massacro della Befana” a Sant’Onofrio. È la mattina del 6 gennaio del 1991. Il piccolo centro dell’entroterra vibonese è già marchiato a fuoco da faide e vendette di clan contrapposti. Il sangue scorre ancora per le strade della città ma quella mattina – alle ore 11.12 per l’esattezza – la storia cambierà definitivamente. Come scriveranno i giornali del tempo, un’Alfa 33 piomba in piazza a Sant’Onofrio. «È finito di piovere da poco e la gente è uscita dal bar. Nessuno immagina che da lì a poco si scatenerà l’inferno». E ancora: «Scesi dall’auto, i volti travisati dalle calze, scaraventano sulla piccola folla una tempesta di piombo (…) a terra ci sono due morti ammazzati e dieci feriti».
Le vittime di quella che verrà ribattezzata la “strage dell’Epifania” sono due morti innocenti, il 38enne Onofrio Addesi e il 44enne Francesco Augurusa, completamente estranei alle logiche di ‘ndrangheta e alla terribile e sanguinosa faida che, proprio in quel periodo, si stava consumando a colpi di agguati e vittime eccellenti in una logica criminale spietata e sanguinaria. La strage affonda le proprie radici in una contrapposizione tra storiche ‘ndrine del territorio, avviata tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90.
È in questo periodo, infatti, che il gruppo Petrolo-Bartolotta – capeggiato da Rosario Petrolo e istigato dai Lopreiato di Stefanaconi – scatenò una vera e propria guerra armata contro la potente consorteria criminale dei Bonavota di Sant’Onofrio, lasciando per strada una lunga scia di sangue e morte, affiliati di entrambi i fronti uccisi barbaramente. Una faida che raggiunse il proprio apice il 6 gennaio di 33 anni fa. Quel giorno il commando dei Petrolo-Bartolotta, nel tentativo di uccidere tre affiliati al gruppo rivale, fece fuoco nell’affollata piazza Umberto I di Sant’Onofrio.
Il panico, il dramma, poi la corsa. Dopo gli spari in piazza, infatti, un’Alfetta dei Carabinieri si lancia all’inseguimento dell’Alfa 33 lungo la SS18, raggiunta nei pressi di Pizzo, a pochi chilometri da Sant’Onofrio. A bordo i militari trovano l’allora 31enne Rosario Michienzi. Si arrende e confessa, ma va oltre, diventando poi collaboratore di giustizia, raccontando tutti i dettagli agli inquirenti. Così come Gerardo D’Urzo, tra gli arrestati e condannato all’ergastolo. Le successive indagini e l’arresto di mandanti ed esecutori cancellò, di fatto, la cosca Petrolo-Bartolotta, lasciando la strada libera all’ascesa prepotente dei Bonavota, capeggiati all’epoca da Antonino Bonavota. Il resto è storia. (g.curcio@corrierecal.it)
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