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il dibattito

Le montagne dei presepi morenti: ossimori di Calabria

di Francesco Bevilacqua*

Pubblicato il: 08/01/2024 – 8:28
Le montagne dei presepi morenti: ossimori di Calabria

La sorte dei territori di montagna, la sostenibilità delle loro economie, l’abitabilità dei paesi in altura, stanno riconquistando interesse, fra politica, collane di libri, dibattiti. È di questi giorni la notizia dell’imminente nascita di un nuovo giornale online, “L’AltraMontagna”, che si occuperà di questi temi e che, con il suo titolo provocatorio, sta già facendo discutere. La tesi di fondo del comitato scientifico che dirige la rivista è che vi siano montagne di seria A (quelle a cui il turismo di massa ha portato ricchezza monetaria) e montagne di serie B (dove quell’elemento trainante manca). Ma anche che la soluzione non può essere quella di proseguire con la monocultura del turismo di massa, delle strutture alberghiere, degli impianti di risalita, dello sci da discesa o, in alternativa, dello sfruttamento inconsulto delle risorse naturali. Le montagne e i loro paesi, le loro comunità, insomma, sia che si tratti delle Alpi che degli Appennini, non possono divenire giostrine per i divertimenti dei cittadini, né contenitori di materie prime ed energie alternative per i territori in piano. Il problema riguarda particolarmente la Calabria, regione in cui il 91% del territorio è montagna o collina e dove per secoli le popolazioni sono vissute, traendo da lì quasi tutto ciò che occorreva per il loro sostentamento. Ancor più in un momento in cui le grandi multinazionali dell’energia si apprestano a “scalare” le nostre montagne con pale eoliche, centrali a biomasse, nuovi impianti idroelettrici, per fornire energia alternativa all’Italia che produce.

Pollino

Vorrei allora prendere a pretesto, per il discorso che qui cercherò di fare, qualcosa che ha destato la mia curiosità proprio nel periodo festivo appena trascorso. Sempre più spesso i nostri paesi di montagna organizzano, fra Natale e l’Epifania, presepi viventi per attrarre turisti. Avevo già consigliato a qualcuno di cambiare nome a questi eventi, chiamandoli “presepi vissuti”, per far comprendere ai tanti visitatori provenienti dalle città, che i piccoli paesi dell’interno sono degni di essere abitati, ancor prima di essere usati come luogo di divertimento mordi e fuggi. Poi ho pensato che la locuzione “presepe vivente” in un paese dove sono rimaste poche centinaia di abitanti e che si spegne anno dopo anno nonostante l’eroica resistenza di chi lo abita, è un perfetto ossimoro dal punto di vista linguistico. Sarebbe più coerente chiamarlo, infatti, “presepe morente”.

Già nel 1980 Francesco Compagna, geografo, saggista e politico napoletano, coniò una commovente locuzione per inquadrare il problema: “la crisi dei presepi”. Con chiaro riferimento alla forma urbanistica addensata dei paesi delle montagne del Sud Italia. Dal secondo dopoguerra, infatti, il declino demografico ed economico delle aree interne calabresi è andato aggravandosi. Con il dilagare dell’emigrazione dei ceti popolari verso il Nord Italia e i paesi del centro Europa. Con l’acuirsi dell’oceanizzazione, ossia il trasferimento delle popolazioni verso le zone costiere. Con l’abbandono delle antiche pratiche agro-silvo-pastorali che avevano retto per secoli l’economia dell’intera regione. E ora con la fuga dei giovani laureati.

Sellaro

Politici ed economisti sembrano convinti che lo spopolamento delle aree montane sia inevitabile. Con unica eccezione di quei centri che riescono a convertire interamente al turismo di massa le proprie economie, come avviene nelle zone più rinomate delle Alpi. Al punto che, qualche tempo fa, un economista dell’Università delle Marche, Donato Iacobucci, citando Romano Prodi, parlò apertamente di “spopolamento programmato” dei paesi dell’interno. Secondo questa tesi le popolazioni che risiedono nei paesi dell’interno andrebbero obbligate a trasferirsi nelle città, non fornendo più loro i servizi essenziali (presidi sanitari territoriali, scuole, trasporti pubblici etc.) che in luoghi marginali, poco abitati e urbanizzati hanno costi maggiori che nelle città. Si otterrebbe così la trasformazione dei paesi di montagna in contenitori stagionali per il turismo e l’industria del divertimento e le risorse montane in miniere da saccheggiare per fornire materie prime alle città. Una visione questa, che non ho timore a definire neocoloniale.

Da qui la corsa a scimmiottare forme di mercificazione di paesi, tradizioni, ambienti, bellezze naturali che ha fatto la “fortuna” economica di alcune zone delle Alpi, disintegrando culture e vocazioni naturali. Anche in Calabria i tentativi indotti per sviluppare le “terre alte” sono stati tutti improntati a questo modello. Ne sono esempi emblematici, l’assalto edilizio delle seconde e terze case (anni ’70 ed ’80) e le fallimentari esperienze di costruzione e gestione di impianti di risalita e piste di sci alpino (innevamento artificiale compreso). Ma, visto dal basso, questo “pensiero unico” della montagna sembra essersi incrinato negli ultimi vent’anni, anche grazie alla nascita dei parchi nazionali (Pollino, Sila, Aspromonte) e alla sempre maggior carenza di neve sciabile durante l’inverno. Dal basso, gli operatori economici locali hanno già intrapreso vie diverse e autonome: si pensi, ad esempio, all’ambito dell’area dei monti Reventino e Mancuso, dove sono sorte o si sono consolidate esperienze produttive varie (editoria, tessile, vivaismo forestale, industria mobiliera, turismo sostenibile); oppure si veda quanto è accaduto nelle due principali stazioni sciistiche della Sila, Camigliatello e Lorica, dove alla monocoltura dello sci da discesa si è, pian piano, sostituita una variegata offerta nei campi dell’accoglienza, del turismo sostenibile, dell’agroalimentare.

Mormanno

Certo, agli economisti ortodossi interessano i grandi numeri, i costi dei servizi, le tendenze di mercato. Ma quando si parla di montagna, occorre capire che anche le micro-economie, o le produzioni vocazionali o i diritti di chi vuole continuare ad abitarvi, possono avere – come dimostrano i fatti – una funzione trainante. A ciò si aggiunga un timido ma incoraggiante trend di scelta residenziale nei paesi anche di montagna, che porta sempre più gente forestiera e perfino straniera a sostituire i vecchi abitanti andati via. In un mondo dominato dal produttivismo, dal consumismo e dalla virtualità, c’è sempre più bisogno di qualità delle produzioni e dei consumi, di sobrietà, di autenticità nei rapporti umani e sociali, di vicinanza con la natura.  È dunque venuto il momento – come dimostra l’uscita del nuovo giornale citato in apertura – che il dibattito si apra anche verso l’opinione pubblica e che la politica prenda atto che occorre un epocale cambiamento di strategia. Per impedire che le straordinarie risorse delle montagne calabresi e delle loro comunità vengano ancora una volta saccheggiate. Per far sì che nelle terre alte, ai presepi viventi o morenti si sostituiscano presepi realmente e felicemente vissuti. 

*Avvocato e scrittore

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