VENTIMIGLIA «La verità è che aiutare gli altri ti cura l’anima». Filippo Lombardo è un artigiano nato a Reggio Calabria, ormai residente in Liguria insieme alla moglie Loredana Crivellari. Forse proprio le sue origini da emigrante lo hanno portato ad aiutare chi, come lui, ha lasciato la propria terra. «Tutte le storie degli esseri umani sono storie di migranti» raccontano in un’intervista a LaStampa. In quattro anni sono circa 600 i migranti ospitati dalla coppia di pensionati. Ormai conosciuti come «quelli del furgoncino rosso», accolgono e danno rifugio a chi viene respinto al confine con la Francia. «In queste ultime settimane – dicono – la frontiera francese è diventata invalicabile. Hanno messo i droni. Hanno chiuso i sentieri di montagna. Hanno mandato moltissimi agenti». Ad approfittarne sono i cosiddetti “passeur”, truffatori che dietro pagamento promettono di far oltrepassare i confini. «Quando sali sul treno a Ventimiglia, ti fanno scendere alla stazione di Menton Garavan».
Proprio ciò che è capitato a Maryam e a suo figlio di quattro anni, gli ultimi arrivati nella casa di Filippo e Loredana. «Una notte nel container, il foglio di via. E poi li hanno lasciati in un punto in cui avrebbero dovuto camminare per 12 chilometri». Al momento del ritrovo, racconta LaStampa, «lei teneva in mano il foglio della polizia francese: “Refus d’entrée”». «La cosa che mi fa più arrabbiare è che Maryam ha creduto a un maledetto passeur» dicono Loredana e Filippo. La giovane donna avrebbe pagato circa 300 euro per assicurare il passaggio del confine a lei e suo figlio. «Quello li ha caricati su un treno alla stazione di Ventimiglia. “Sicuro”, ripeteva. “Sicuro, arriverete in Francia”. Ma tutti sappiamo cosa succede su quei treni». Maryam è solo l’ultima di oltre 600 migranti ospitati dalla coppia. Tutto ha inizio quando, nel 2020, la giunta di centrodestra chiude l’unica struttura di accoglienza a Ventimiglia. «Vedevamo questi ragazzi e ragazze sulle strade. Non è stata una decisione solenne, la nostra. È andata così. Forse perché ci siamo conosciuti negli scout, e quando sei scout lo sei per tutta la vita».
«Il primo si chiamava Hussain. Era un ragazzo tunisino. Lo abbiamo trovato malconcio, era stato picchiato». Il problema, continuano nel racconto, è che non si fidano più di nessuno. «Quando tu avvicini queste donne che sono state violentate e imprigionate in Libia, donne in viaggio da anni, donne che hanno attraversato il mare, senti tutta la loro preoccupazione». Proprio per questo «non si fidano più di nessuno. E se tu offri un letto o del cibo, loro pensano: cosa vorranno in cambio?». In cambio, però, Filomena e Filippo non vogliono nulla. «Ci dividiamo i compiti» racconta Filomena, infermiera in pensione. «Io mi occupo dell’accoglienza in casa, lui va con il furgone quando sappiamo che ci sono donne o famiglie in mezzo alla strada». Filippo «conosce tutti, ha denunciato più volte i passeur».
«Nulla rende più stanchi di questa assurda guerra della frontiera. Alla fine, riescono a passare quasi tutti». I rapporti, però, nel tempo restano. C’è chi scrive per mandare foto e ringraziare, chi chiede aiuto per amici e parenti. «Per favore, sta arrivando mio fratello Ghulam. Per favore andate a prenderlo alla stazione, aiutatelo come avete fatto con me» scrive un ragazzo pakistano passato nella casa di Filippo e Loredana. Tanti migranti, tante lingue, ma mai nessuna difficoltà di comunicazione. «C’è un linguaggio comune – spiegano – che supera i problemi. L’argomento è universale. È una cosa che definisco magica». Molti di loro hanno anche aiutato in casa, dalla legna alla cucina di piatti della loro tradizione. Mondi e culture che si incontrano dove il confine si chiude.
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