LAMEZIA TERME Dopo oltre un mese di stop dall’ultima udienza celebrata dinanzi al Tribunale di Cosenza (in composizione collegiale) torna a popolarsi l’aula bunker di Lamezia Terme che ospiterà – per due giorni a settimana e fino al mese di giugno – il processo ordinario per gli imputati coinvolti nell’inchiesta “Reset“: scattata il primo settembre 2022. Questa mattina, gli operatori di polizia giudiziaria chiamati a testimoniare si sottoporranno all’esame dei pm della Dda di Catanzaro Corrado Cubellotti e Vito Valerio ed al controesame delle difese e forniranno elementi sulle indagini in uno dei settori più proficui per la mala cosentina: il gaming.
Slot e sale scommesse sarebbero state nelle mani della mala bruzia che addirittura avrebbe imposto ai gestori dei bar quali e quante macchinette da gioco detenere e da chi prenderle in gestione. Il gioco, spiegano i magistrati antimafia, è uno dei core business della federazione criminale bruzia: «Attività estremamente redditizia che, se per un verso consente la realizzazione di ingenti guadagni, dall’altro, essendo caratterizzata da una costante movimentazione di enormi flussi di capitali, si presta agevolmente a fungere, da meccanismo di ripulitura del denaro “sporco”». Per queste ragioni «essenziali», la gestione del gaming sarebbe «divenuta monopolio della confederazione criminale operante sul territorio bruzio». Il settore, dunque, sarebbe chiuso «a soggetti non facendo parte della confederazione criminale egemone o, comunque, non orbitanti intorno a essa».
Il capitolo dedicato al “gaming” è stato trattato anche nel corso del processo con rito abbreviato che si celebra a Catanzaro, in aula bunker. Il 21 dicembre 2023, la procura ha invocato pene pesanti per gli imputati (QUI TUTTE LE RICHIESTE).
Secondo la Dda, «gli imprenditori scendono a patti con la confederazione e acquistano nel settore una posizione di oligopolio, nel senso che oltre all’autorizzazione a valle che è necessaria per lo svolgimento di questo specifico tipo di attività (il gaming) giunge un’altra autorizzazione che passa attraverso l’accordo con la confederazione di ‘ndrangheta». L’ufficio di Procura contesta l’esistenza «di quattro gruppi organizzati che secondo questa logica avrebbero il compito di oligopolizzare». I soggetti coinvolti nel business ricorrono ad una serie di accortezze per evitare incontri periodici che potessero destare l’attenzione degli investigatori. E’ il pentito Francesco Greco a dar forza alla ricostruzione dell’accusa. «So che esisteva questo rapporto tra soggetti e plenipotenziari dell’associazione e so che i proventi di questa attività venivano versati, cioè la quota parte di spettanza del gruppo criminale confluiva nelle casse della bacinella».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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