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«L’omicidio dei miei genitori tra ombre e misteri». A Telesuonano il racconto di Walter Aversa

Il racconto del figlio del sovrintendente di Polizia e Lucia Precenzano, uccisi in un agguato il 4 gennaio 1992. «Siamo ancora lontani dalla verità»

Pubblicato il: 11/01/2024 – 6:59
«L’omicidio dei miei genitori tra ombre e misteri». A Telesuonano il racconto di Walter Aversa

LAMEZIA TERME «Mio padre era un poliziotto di strada, uno di quelli che amava fare il proprio mestiere in mezzo alla gente». A 32 anni di distanza dall’omicidio del sovrintendente Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano, il figlio Walter ricorda con orgoglio e commozione i genitori, ma anche i dubbi, i misteri e i depistaggi durante le indagini successive. Ospite di Ugo Floro e Danilo Monteleone nell’ultima puntata di Telesuonano, il talk di approfondimento in onda su canale 75 del digitale terrestre de “L’altro Corriere TV”, Walter Aversa ripercorre la storia della sua famiglia: dall’arrivo a Lamezia alla sera del 4 gennaio 1992, quando furono aggrediti e uccisi i suoi genitori. «Ero a casa, poi una telefonata di mia zia mi ha avvisato dell’attentato a mio padre». La corsa sul posto, una delle vie centrali di Lamezia, la vista della macchina trivellata di colpi. «C’era un silenzio surreale, mi dissero che erano in ospedale. Andammo al pronto soccorso». Lì, sul vialetto, il ricordo delle tracce di sangue e l’abbraccio in lacrime del chirurgo, un caro amico del padre. «Mi ha detto che non c’era più niente da fare».

L’arrivo a Lamezia

Lui poliziotto, lei insegnante. «Erano una coppia complementare» ricorda Walter Aversa. Il figlio ripercorre tutta la storia della sua famiglia, nativa di Cosenza, ma trasferita per scelta a Lamezia. «Mio padre giovanissimo scelse di seguire la sua vocazione andando alla scuola di Polizia di Trieste». Arrivano i primi incarichi al Nord Italia, poi il trasferimento a Catanzaro. «Nel 1968 chiede il ricongiungimento familiare. Tra diverse città scelsero Lamezia Terme, per l’autostrada e la vicinanza a Cosenza». In quegli anni «era una città bellissima, con una forte vocazione commerciale e un’invidiabile posizione geografica e strategica». Un potenziale percepito soprattutto dalla malavita locale. «Cominciarono a capire i meccanismi per arricchirsi, prima il contrabbando di sigarette, poi estorsioni e rapine». Quindi gli appalti pubblici. «Per loro erano soldi facili, da lì hanno iniziato a infiltrarsi nelle istituzioni della città». In questo contesto inizia a muoversi Salvatore Aversa. «Non aveva grandi gradi, ma era un grande poliziotto». «Era un periodo di prepotenza criminale anche contro singoli cittadini, lui si metteva sempre in mezzo. La sentiva come missione».

Telesuonano Aversa

L’omicidio dei netturbini

L’escalation criminale di Lamezia raggiunge il suo apice il 24 maggio 1991, quando vengono uccisi i due netturbini Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano. «Un omicidio inspiegabile» ricorda Walter Aversa. «Probabilmente sono stati uccisi perché la cosca voleva dare un messaggio: “La spazzatura è roba nostra, la gestiamo noi senza ingerenze”. Sono stati uccisi due innocenti che andavano a fare il loro mestiere». Un omicidio, tragico e simbolico, sul quale indagò anche Salvatore Aversa. «So per certo che mio padre riceveva visite dal papà di uno dei netturbini uccisi. Gli andava a chiedere verità e giustizia, perché chiaramente non se ne faceva una ragione». Dall’altra parte arrivavano rassicurazioni. «In uno degli ultimi incontri disse che c’era quasi, che stava arrivando al risultato. Poco tempo dopo mio padre e mia madre sono stati assassinati». Da allora, non ci sono state più novità. «Quel signore è rimasto senza risposta, come anche la città: 33 anni di risultati mancati. Probabilmente mio padre aveva individuato la pista giusta». Pensieri, indagini, sospetti che Aversa raramente condivideva con altri. «Era riservato, soprattutto dopo l’omicidio dei netturbini era cambiato qualcosa. Era turbato, sempre più guardingo, come se stesse lavorando su qualcosa di pericoloso». Tanto da subire anche un’aggressione nel ’91. «Lo abbiamo saputo solo tempo dopo da un infermiere, i suoi risultati iniziavano a dare fastidio e tentavano di fermarlo con minacce e aggressioni».

La figura «inquietante» di Rosetta Cerminara

Una storia di dubbi e misteri che si susseguono anche dopo la sua morte, soprattutto durante il processo e attorno alla discussa figura di Rosetta Cerminara, la donna che nel 1997 ricevette la medaglia d’oro al valore per la testimonianza contro i due presunti killer, per poi essere accusata di calunnia. «Chiamò mio fratello Paolo e ci disse di aver visto qualcosa, la invitammo ad andare a riferire alla polizia». Cosa che, effettivamente, la donna fa, fino ad arrivare in tribunale. «Davanti al presidente della Corte d’Assise rende un drammatico interrogatorio, in cui conferma quanto detto agli inquirenti». Il suo è un racconto «preciso e particolareggiato, tanto da convincere la giuria e il tribunale, con l’arrivo di una condanna a 30 anni e una all’ergastolo». Per il coraggio, Rosetta Cerminara viene insignita della medaglia d’oro al valore. Ma dopo poco tempo, le viene ritirata e viene stravolto tutto. «Rosetta Cerminara viene indicata come calunniatrice, come mitomane, nonostante il suo racconto fosse passato al vaglio di inquirenti e investigatori».

omicidio Aversa Lamezia

Il mistero dei due funzionari

Un’altra svolta nel caso arriva quando Stefano Speciale e Giuseppe Chirico, collaboratori di giustizia pugliesi, confessano di aver perpetrato il delitto su mandato del boss Francesco Giampà. Un fatto che rende, secondo Walter Aversa, la figura della Cerminara «inquietante». «Se dopo tanti anni nella scena di questo processo irrompono due pentiti della Sacra Corona Unita che si autoaccusano, è chiaro che la Cerminara diventi inquietante». «Io non so se il suo racconto è stato aggiustato o suggestionato, non so quale delle due sia la verità, non ho elementi in mano per dirlo. Quello che mi lascia perplesso è che tutta questa scena, questo teatro, ci ha distratto da quello che doveva essere l’aspetto più importante, e cioè capire il perché era stato ucciso Salvatore Aversa». Inquietanti sono poi i fatti accaduti dopo l’omicidio, i funerali di stato veloci e i tentativi di depistaggio. «Eravamo ancora in obitorio, quando ci dissero che stavano già organizzando i funerali di stato. Un tempismo eccezionale, rapidissimo» ricorda Walter Aversa. Poi il ritorno a casa, tra le lacrime dei parenti. «Insieme a noi arrivarono due signori distinti, mi vennero presentati come funzionari della questura di Catanzaro. Entrarono nello studio di mio padre e uscirono dopo un’ora e mezza». Dopo quel momento «non li ho mai più rivisti, né ho ricevuto qualche indicazione». Una persecuzione che continua anche dopo l’omicidio. «La sera tra il 18 e il 19 marzo, il giorno della Festa del Papà, venne profanata la tomba di mio padre. Ci buttò nello sconforto, eravamo confusi». La scelta, comunque, di restare a Lamezia. «Siamo rimasti, abbiamo tentato di raccogliere i pezzi, mantenendo la lucidità e continuando a dare la nostra testimonianza». (redazione@corrierecal.it)

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