LAMEZIA TERME «La natura del Pd è di essere un partito plurale. In questi giorni, stiamo assistendo a finti congressi di Forza Italia, che è quanto di più distante possa esserci dal confronto e dalla partecipazione. Nessuno, invece, può negare il pluralismo che distingue le nostre assemblee». Lo afferma il senatore e segretario regionale del Pd, Nicola Irto, che con il Corriere della Calabria si sofferma sui principali temi dell’attualità politica.
Senatore, lei è segretario del Pd calabrese dal gennaio 2022. Nel suo discorso iniziale, aveva detto che «è arrivato il momento dell’impegno e delle scelte coraggiose». Allora aveva anche prospettato, dopo tre anni di commissariamento del partito, una riorganizzazione e un lavoro collettivo «per rendere sempre più forte e continuo il contatto con i cittadini». Qual è il suo bilancio, a distanza di due anni?
«Vero, sono passati quasi due anni dal congresso regionale, che ha avuto il merito di portare il partito calabrese e le sue federazioni fuori dal commissariamento. Poi abbiamo eletto gli organismi interni. In Italia, voglio ricordare, eravamo il Pd regionale commissariato da più tempo. La situazione era inaccettabile, quindi ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo compiuto uno sforzo necessario: abbiamo strutturato i Dipartimenti e avviato un lavoro organizzativo e politico intenso e profondo, con un partito che era rimasto fermo per troppi anni. Questo è stato un primo passo che ci ha consentito di ottenere importanti riscontri, intanto elettorali. Nelle Amministrative, abbiamo vinto nei Comuni sopra i 15mila abitanti, dopo Reggio Calabria c’è stata Cosenza e poi Catanzaro. Abbiamo ripreso la marcia con un grande impegno quotidiano e collettivo, guardando al futuro e con piena consapevolezza della difficoltà di costruire un campo politico alternativo alle destre. Al riguardo, è essenziale andare oltre le sigle e riuscire a parlare con tutto quel mondo civico che opera nel tessuto economico e sociale, che ha bisogno di dialogare e discutere per convergere su una proposta politica chiara».
Si ritiene soddisfatto?
«Il Partito democratico ha una lunga storia e un radicamento capillare, grazie alla passione dei propri militanti nei vari territori. Abbiamo aperto tanti circoli, ma ci aspetta ancora un lavoro un enorme. Siamo lontanissimi, quindi, dal ritenerci soddisfatti. Dobbiamo moltiplicare gli sforzi, sapendo che il radicamento territoriale fa la differenza. In un tempo in cui prevale la dimensione virtuale e si cercano riferimenti diretti, esempi e confronti, noi spingiamo per un ritorno vero ai circoli, alle sezioni, al luogo fisico, alla voce dei territori».
Però il web e i social hanno il loro peso.
«Certo. Siamo coscienti che dobbiamo anche migliorare il collegamento, l’informazione e la comunicazione tra gli iscritti, aspetto che deve prevedere pure altri strumenti e forme di contatto. Dobbiamo coniugare due grandi esigenze: la prima è di non perdere il radicamento territoriale, il circolo come sezione, come luogo di discussione; la seconda è di riuscire a interpretare al meglio nuovi canali di informazione, comunicazione e collaborazione tra gli iscritti al partito».
Come il Pd calabrese si prepara alle prossime sfide elettorali, le Europee, le Amministrative e più avanti le Regionali, tenuto conto che Roberto Occhiuto ha annunciato che non si ricandiderà alla presidenza della Regione?
«Per quanto riguarda le prossime Europee, per noi saranno una sfida centrale sull’importanza dell’Europa e sul rilancio delle sue regioni. Saranno anche una sfida per combattere in Italia le forze di centrodestra, populiste, sovraniste e che guardano a Orbán, tra i più accaniti avversari dell’Unione e dell’unità europea. Dovremmo cambiare passo, penso, e parlare degli Stati Uniti d’Europa. È significativo, infatti, esprimere nel merito una posizione chiara e sottolineare, così, la necessità di rafforzare l’unificazione dell’Europa sul piano politico, specie alla luce delle gravi crisi internazionali in atto e delle loro ricadute economiche e sociali. Poi, per le prossime Regionali, stiamo lavorando dal basso al fine di costruire una proposta politica basata sulla partecipazione delle intelligenze, delle esperienze e delle coscienze al governo della cosa pubblica. Lo si sta facendo in Consiglio regionale con il Gruppo e c’è già un collettivo anche con gli amministratori locali, che stiamo coinvolgendo con sempre maggiore attenzione».
E le alleanze?
«È del tutto evidente che il Pd non basta, non può camminare da solo. L’alternativa alla destra deve essere un campo di forze ampio. C’è un dialogo con tutti partiti di opposizione, che in alcuni casi arriva a concretizzarsi in un’alleanza e in altri invece no. Noi proviamo sempre, fino alla fine, a fare valere le ragioni dell’unità».
A breve il Partito democratico calabrese terrà la sua conferenza programmatica. Quali sono i contenuti, le proposte e le sfide che verranno proposte in quella sede?
«Tra poco ci sarà questo atteso appuntamento, che ci consentirà di esporre, discutere e condividere più a fondo le analisi e le proposte, sui diritti e servizi irrinunciabili, emerse nel nostro lungo lavoro con i Dipartimenti e di coinvolgimento dei territori. Nell’estate scorsa avevamo intensificato gli incontri nelle piazze della Calabria, continuando a raccogliere le istanze locali e ad ascoltare le persone, a registrarne i bisogni, le aspettative e i punti di vista. Vede, la Calabria sta attraversando il suo momento peggiore, ma il centrodestra racconta una storia del tutto diversa, spettacolarizzando la propria azione amministrativa, in realtà fumosa quanto inefficace, e nascondendo le grosse difficoltà economiche e sociali della regione con grandi eventi che distraggono le masse».
Quali sono, in particolare, queste difficoltà?
«Lo spopolamento crescente della regione indica che non c’è stabilità e dignità lavorativa. Mi preoccupa l’emigrazione dei giovani. Se aggiunge, poi, la perdita della Zes a Gioia Tauro e il rischio che il suo porto subisca gli effetti della direttiva Ets dell’Unione europea, per modificare la quale ci siamo impegnati senza alcuna vanità, il quadro è completamente diverso da quello, illusorio, che ogni giorno traccia il centrodestra. Ancora, la Calabria ha problemi enormi su infrastrutture, trasporti, viabilità, bonifiche, ciclo delle acque, depurazione, rifiuti, scolarità, assistenza sociale. Inoltre, le aziende non hanno sgravi e incentivi veri e la sanità pubblica è sempre più in ginocchio».
Però in giro si ripete che il presidente Roberto Occhiuto ha mostrato decisionismo e attivismo sulla sanità. Qual è il suo punto di vista al riguardo?
«Vado al sodo: mancano tantissimi medici; le nuove reti assistenziali sono del tutto inadeguate ai bisogni di salute dei territori; le aree interne sono completamente abbandonate; le attività di prevenzione sono sempre più lente e non hanno un’organizzazione capillare; le liste d’attesa sono lunghissime; i flussi dei dati, basti pensare ai ritardi clamorosi nell’aggiornamento dei Registri dei tumori, restano incoerenti; l’emigrazione sanitaria rimane un macigno da quasi 300 milioni di euro. Ancora, persistono operazioni strane che non consentono di smaltire il debito. Anzi, le inefficienze delle aziende lo stanno drammaticamente aumentando».
È un libro nero?
«È la pura realtà. Se non bastasse, la diagnostica versa spesso in condizioni critiche e non ci sono investimenti sulla presa in carico del paziente e nella qualità delle cure. Insomma, siamo nel momento peggiore che la Calabria abbia mai vissuto: è una vera e propria emergenza».
A Cosenza ci sono polemiche e frizioni interne. A Reggio Calabria, dopo lo strappo del Pd con Falcomatà, il clima sembra invece più disteso. Nel 2024 prevale il correntismo in casa dem, ci sono conflitti generazionali, scontri di potere o è il segno di una mancanza di visione unitaria?
«La natura del Pd è di essere un partito plurale. In questi giorni, stiamo assistendo a finti congressi di Forza Italia, che è quanto di più distante possa esserci dal confronto e dalla partecipazione. Nessuno, invece, può negare il pluralismo che distingue le nostre assemblee, caratterizzate da discussioni forti, forse perfino aspre, che è comunque sbagliato portare all’esterno. Tuttavia, il confronto aperto nel nostro partito esprime e rappresenta la pluralità delle storie, anche molto diverse, viventi all’interno del Pd, che oggettivamente sono una ricchezza. Poi, non si scoprono ora le diversità nel Partito democratico, che ci sono sempre state e ci saranno. Non sopporto la retorica, ma mi lasci dire che il Pd è l’unico partito, l’unico luogo in cui è ancora possibile il confronto politico. Le altre forze sono esclusivamente delle liste elettorali con leadership più o meno consolidate e che, nonostante alcuni risultati netti alle elezioni, hanno alti e bassi in base ai loro leader del momento».
Non pensa che debba esserci una misura, nella dialettica interna al Pd?
«La dialettica è fisiologica in un grande partito plurale che ha sempre avuto al suo interno un dibattito vero, sintomatico di una passione autentica per la politica. Mi fa sorridere qualcuno, quando pensa che una divergenza si debba risolvere con un tratto di penna o con una parola di questo o quell’altro pseudocapocorrente. Un partito ha i suoi organismi costituiti, ha le sedi preposte in cui gli iscritti possono incontrarsi, scontrarsi, dibattere e confrontarsi. Ora abbiamo una classe dirigente calabrese legittimata e dobbiamo avere ancora più coraggio nel dare un forte impianto e impulso di cambiamento».
Autonomia differenziata, cabine “romane” di regia, futuro della sanità pubblica e dimensionamento scolastico sono temi caldi e dibattuti. In proposito, lei continua a sostenere che il governo Meloni è ostaggio della Lega. Pensa che l’Esecutivo sia condizionato dal partito di Salvini e per questo penalizzi il Mezzogiorno?
«È evidente che Salvini e il suo partito controllino il governo e spingano per indirizzarne l’azione a vantaggio delle ragioni dei poteri economici del Nord. L’autonomia differenziata è come una scure: spacca il Paese e lo destabilizza, toglie ai poveri per dare ai ricchi. Non è un mio slogan, è proprio così. Dall’altra parte, il governo mostra la sua superficialità e le sue contraddizioni clamorose. Lo fa proponendo il presidenzialismo, istituendo cabine di regia e costosissime strutture di missione, adottando altre strategie per accentrare il potere e mantenere il consenso, che comunque perde. Quando si forza la mano a Palazzo, si perde credibilità e fiducia».
Ponte sullo Stretto, Fondo per lo sviluppo e la coesione, criteri di ripartizione del Fondo sanitario, Alta velocità ferroviaria. Su questi e altri argomenti crede che l’amministrazione regionale sia remissiva rispetto alle scelte del governo?
«Senza dubbio: l’amministrazione regionale è remissiva perché sta dentro le logiche politiche di parte e non si occupa dei bisogni veri dei calabresi. Per questo, pagherà un conto salato in termini elettorali. Il Ponte sullo Stretto sarà pagato dai più poveri, l’Alta velocità ferroviaria è sparita e il governo regionale non è incisivo, nella sostanza, rispetto alla doverosa modifica dei criteri di ripartizione del Fondo sanitario, questione cruciale per ridurre le tremende diseguaglianze territoriali sul diritto alla salute».
Che cosa servirebbe per ridurre le diseguaglianze fra il Sud e il Nord?
«Anzitutto coscienza della realtà e onestà intellettuale e politica. Il governo Meloni sta dimostrando un’avversità costante nei confronti del Mezzogiorno, che evidentemente considera un serbatoio di voti. Noi lo denunciamo e argomentiamo ogni giorno, in Parlamento e nelle piazze. C’è una questione meridionale sempre aperta, oggi ancora più drammatica. Per cambiare l’Italia, dobbiamo partire dalle ragioni e dalle istanze del Sud, rafforzando l’unità del Paese e la solidarietà nazionale».
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