Noi calabresi siamo molto attenti quando siamo ultimi e ci distraiamo quando siamo primi nelle eccellenze. In questi giorni abbiamo appreso che l’Università della Calabria è l’ateneo che fa registrare la maggiore crescita nel quadriennio al Sud, raggiungendo il +23% iscritti. Dopo l’aumento di immatricolazioni del 2020/2021, il sistema universitario pubblico italiano infatti arretra al livello pre-pandemia. Solo l’Unical è sempre in crescita. Nessun politico di qualunque schieramento, nessun intellettuale o editorialista che rifletta su questo seme di crescita calabrese.
Il dato inoppugnabile viene dal Miur. L’università pubblica italiana è in crisi di immatricolazioni aggredita da chi non studia, non lavora, non si forma e dal terribile fenomeno degenerativo delle università telematica. Unical va in controtendenza: infatti passa dai 3834 immatricolati del prima pandemia ai 4704 dell’anno accademico in corso.
Unical è un’eccellenza del Sud, dato molto positivo considerato che molte università meridionali tra un ventennio vedranno docenti e impiegati superare il numero degli studenti a causa dello spopolamento del Sud e della loro pallida offerta formativa. E non finisce qua, perché l’università di Arcavacata con Pavia e Parthenope di Napoli, è tra i 3 soli atenei italiani che segna sempre un aumento, in ciascuno degli anni accademici del quadriennio, a conferma di un miglioramento strutturale con un’offerta didattica e servizi agli studenti che la rendono attrattiva anche nei periodi di difficoltà del sistema universitario nazionale.
L’Unical è in movimento. Vince perché ha messo sul piatto della concorrenza globale un’offerta didattica al passo con i tempi innovando e guardando al nuovo della conoscenza; infatti molto offre sul piano dell’Intelligenza artificiale affidata a grandi luminari internazionali del settore che di buon grado sono venuti a insegnare nel campus cosentino. L’antica intuizione del padre fondatore, Beniamino Andreatta, trova ancora magnifica realizzazione su questo pezzo di America in mezzo all’arretrato Meridione che registra il dato che tutti i vincitori di borsa di studio in Unical – 2.500 posti – la rendono prima in Italia in quanto ad alloggi per iscritti in corso, con un rapporto superiore al 15%, il quadruplo della media nazionale. Premio del merito e non si piantano tende per protesta all’Unical a differenza di quello che accade in Italia con il caro affitti. E se qualche stortura pure ci sarà a Rende e dintorni su questa tema, l’ateneo calabrese continuerà ad aumentare le residenze a favore degli studenti meritevoli.
Un grande polmone di sviluppo calabrese che nel futuro prossimo dispiegherà al meglio la nuova facoltà di Medicina collegata alle nuove tecnologie e a un Policlinico.
Nel Sud che si spopola di giovani e che in questi giorni ha visto migliaia di trolley muoversi verso il mondo, ad Arcavacata si è stati in grado di aprire l’attivazione di dieci corsi in lingua inglese che ha potuto immatricolare 950 studenti provenienti da 83 paesi stranieri a fronte di 9.000 domande giunte da 108 nazioni del pianeta. Questo significa che con i giusti investimenti Unical potrebbe ancora aumentare la sua popolazione universitaria internazionale. L’Unical secondo il prestigioso World University Ranking formulato dalla rivista inglese “Times Higher Education” ha scalato ben 20 posizioni in Italia e 300 nel mondo sulle 1.804 valutate, premiando Arcavacata per qualità della ricerca, numero di brevetti, valorizzazione di dottorandi, crescita del numero di donne nella comunità accademica. Non c’è classifica italiana e internazionale che non confermi questi dati nella loro sostanza. E se i numeri possono essere aridi il vero dato sostanziale è che nei 200 ettari del Campus calabrese vive una comunità intellettuale a larga provenienza giovanile e con una forte composizione straniera in forte contrapposizione al deserto dei tartari meridionale della “generazione Z” che va via dal Sud. Ad Arcavacata c’è buona vita esistenziale. Ogni venerdì nel centro storico dell’ateneo centinaia di studenti, gratuitamente, si ritrovano fino all’alba a ballare e socializzare grazie al baccanale ludico organizzato da Filo rosso, esperienza autogestita fondata e animata da ex studenti dell’Unical che riescono a dare un’anima a un’università e un senso allo stare insieme. A fronte di tanta positività, come un novello Don Chisciotte che cerca una nuova identità coniugata alla furbizia contadina di Sancho Panza continuo a pensare che le aspirazioni di poter avere una città capitale della cultura italiana poggiano soltanto sull’Unical, unico luogo calabrese capace di rappresentare le istanze regionali schierando una delle migliori università italiane per far nascere la moderna Calabria dalle ceneri delle Calabrie. Sarebbe bellissimo. Pensiamoci tutti.
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A chi scrive, a chi legge, ha fatto piacere constatare che lunedì scorso la fiction “La Storia” tratta dal monumentale libro di Elsa Morante abbia doppiato per ascolti e gradimento “Il grande fratello” di Signorini.
Non è sfuggito ai più, grazie al ricordo novecentesco che ne abbiamo, che quel grande romanzo che si svolge in larga parte a Roma, ha le sue origini cicliche in Calabria e in larga parte a Cosenza. La brava Archibugi, per questione di spoglio di sceneggiatura del librone, ne ha salvato soltanto la morte della mamma di Ida sulla spiaggia di Paola che sconfina verso Fuscaldo. Avevo 15 anni quando partecipavo al gruppo di studio autogestito pomeridiano del liceo Telesio e scoprii che il romanzo del momento (non sapevamo essere ancora un’opera fondamentale del nostro 900) aveva il suo seme nella mia città. Entrarono nel mio immaginario Ida, chiamata Iduzza dal padre calabrese. Il carrozzone dell’opera lirica era quello itinerante che offriva spettacoli nella mia città, scoprivo la cultura popolare calabrese di origine contadina che esorcizzava “mali indecifrabili”, le bambole di pane, i braccianti di Reggio Calabria, i possidenti agrari, le terre occupate già nel 1922, l’anarchico papà di Ida che frequenta un’osteria di Cosenza e ubriaco canta “Rivoluzione si farà, bandiera nera si canterà”, i gerarchetti fascisti arrivati da Catanzaro che diffondono la notizia di un censimento degli ebrei che manda nel panico la mamma di Ida.
Elsa Morante non era mai stata in Calabria e non era calabrese. Come Salgari che non era stato mai in Malesia, la scrittrice romana il ricco materiale narrativo de “La Storia” lo aveva tratto dei libri che aveva consultato. Oggi grazie a certosine ricerche filologiche sappiamo che questo identitario start calabrese deriva dallo studio del libro “Le lotte contadine in Calabria (1914-1922)” di Enzo Misefari e dalla biografia del fratello Bruno scritta dalla cognata Pia Zanolli Misefari “L’anarchico di Calabria”. La storia dei fratelli Misefari (un industriale anarchico, un comunista rivoluzionario, e una gloria calcistica della Reggina) meriterebbe uno spin-off audiovisivo di Francesca Archibugi. Forse un po’ troppo? Certo, la municipalità di Cosenza che celebra tanta cultura un approfondimento a questo genius loci di prestigio letterario potrebbe anche dedicarlo.
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A proposito. Il prossimo 27 gennaio saranno cento anni della nascita del poeta Francesco Leonetti, uno dei più cari amici di Pier Paolo Pasolini al quale affida la voce del Corvo in “Uccellacci e uccellini” e numerosi personaggi della sua filmografia. Leonetti è uno dei maggiori poeti della Neoavanguardia. Pur se di formazione bolognese, Leonetti era nato a Cosenza in quel 1924. Si sa poco del suo rapporto con le radici. A supplire questa conoscenza, una pubblicazione di Silvana Palazzo “Francesco Leonetti-Il ritorno in Calabria”, il video “Io stesso: situazione”, uno studio-documentario per la regia di Simona Crea e Mauro Nigro. Le due opere furono presentate a Cosenza nel 2013 in un convegno dall’assessore alla Cultura, Maria Francesca Corigliano. Scrive il poeta nel suo autoritratto: «Io nativo cosentino in un fitto di larici, guardavo infante d’estate (ora mi avvedo), alle colonie greche fra i sibariti e ai popoli di mare».
Lascio a voi lettori il dubbio se merita ricordo questo calabrese illustre
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