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La storia

L’amore proibito dalla ‘ndrangheta. 30 anni fa l’omicidio di Pino Russo

Aveva solo 22 anni quando, il 15 gennaio 1994 ad Acquaro, veniva ucciso e dato alle fiamme per essersi innamorato della cognata del boss

Pubblicato il: 15/01/2024 – 7:00
L’amore proibito dalla ‘ndrangheta. 30 anni fa l’omicidio di Pino Russo

ACQUARO «L’avresti mai detto che sarebbe finita così?». L’incipit è quello classico delle canzoni d’amore, la trama quella di una storia vera con un giovane di 21 anni innamorato di una ragazza. Il brano, cantato da Francesco Claps, racconta però la triste e tragica fine di chi vive in una terra in cui la ‘ndrangheta pretende di avere il controllo su tutto, persino sull’amore. Pino Russo, a cui è dedicata “Morire a vent’anni” viene ucciso ad Acquaro il 15 gennaio di trent’anni fa da alcuni esponenti di ‘ndrangheta, ritenuto da loro “colpevole” di essersi innamorato della ragazza sbagliata. Ma l’amore non si sceglie, così come la terra natìa. In quegli anni, nella provincia vibonese, oltre 50 persone scompaiono nel nulla, vittime di lupara bianca. È il periodo dei sequestri, ma anche delle sanguinose faide tra le famiglie di Acquaro e Gerocarne. Pino, che con la ‘ndrangheta non c’entrava nulla, subisce la stessa triste sorte: saluta i genitori, esce di casa alla guida della sua Fiat Panda. E non fa più ritorno. Fino a che, il 21 marzo, il suo corpo senza vita viene ritrovato su indicazioni di chi confesserà l’omicidio.

L’incontro con Angela

Pino, però, la sua terra la amava. Nel suo paesino di Acquaro, dove vive con la famiglia, lavora, trascorre il tempo libero tra scuola calcio e il gruppo giovanile, conosce Angela, la ragazza di cui si innamora. Un amore ricambiato, ma comunque destinato a morire sul nascere. Perché la ‘ndrangheta ha altri piani per Angela. L’amore e la terra natìa non si scelgono, ma neanche le famiglie in cui si nasce. La sorella di Angela è sposata con Antonio Gallace, nato a Gerocarne e ritenuto boss delle Preserre vibonesi . Angela si ritrova così “incastrata” nelle dinamiche ‘ndranghetiste, pedina di un violento “gioco” fatto di sangue, faide e omicidi e che reprime libertà e sentimenti. Nel “mondo” della ‘ndrangheta la scelta, quella libera, non è contemplata. L’amore, quello libero, non può esistere. Così la macchina di Pino viene incendiata, le minacce diventano sempre più frequenti. Ma i due giovani non si tirano indietro, continuano la loro relazione all’aperto.

L’omicidio

Il 15 gennaio 1994 tutto si ferma. Pino esce, come ogni giorno, con la sua Fiat Panda. Saluta la madre Teresa, saluta il fratello Matteo e il patrigno Orlando. Ma non fa più ritorno. Nel pomeriggio la sua auto viene rinvenuta senza di lui. Il corpo verrà ritrovato soltanto due mesi dopo, il 21 marzo, quella che sarebbe diventata la giornata a lui dedicata, insieme alle altre vittime innocenti di mafia. Sul suo omicidio farà luce Gaetano Albanese, presunto esponente della ‘ndrangheta di Gioia Tauro, che confesserà di essere uno degli esecutori. A chiedergli di uccidere Pino sarebbe stato proprio il boss Gallace, cognato di Angela. Così quel 15 gennaio di 30 anni fa, Pino viene rapito, portato in un bosco e ucciso. Infine, dato alle fiamme e lasciato in una fossa scavata appositamente. Ad ucciderlo, oltre ad Albanese, anche due giovani ragazzi, Angelo Benedetto e Alessandro Morfei, per i quali, come racconta ViviLibera, quello «sarà un battesimo di sangue».

Il coraggio di Pino e della sua famiglia

Mandante ed esecutori dell’omicidio sono stati condannati rispettivamente all’ergastolo e a 20 anni. Una tragica storia, quella di Pino e Angela, che racconta il funzionamento delle dinamiche nelle famiglie ‘ndranghetiste. La donna vista come “pedina” per riallacciare o consolidare rapporti tra famiglie, la ribellione non tollerata di un giovane alle leggi e al potere ‘ndranghetista, l’omicidio simbolico e il battesimo di sangue dei rampolli della ‘ndrina. Il coraggio ribelle di Pino e della sua famiglia, che si costituì parte civile nel processo, terrorizzava la ‘ndrangheta. A tal punto che le minacce non si fermarono neanche dopo la morte. Nel 2018, a 24 anni dall’omicidio, alla madre Teresa è stata recapitata una lettera con la foto del figlio e dei proiettili. Intimidazioni e minacce che non hanno fermato Teresa dal fare memoria e raccontare la storia. Pino non è stato ucciso “per amore”, come si era propensi a dire una volta. È stato ucciso dalla violenza di una ‘ndrangheta che non tollera il coraggio di un 21enne e, soprattutto, la libertà. (redazione@corrierecal.it)

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