CATANZARO «Domenico Rizza lo incontravo spesso da Franco Trovato, forniva armi a quest’ultimo e anche a Rosario Cappello, oltre che a Pasquale Notarianni. L’ho conosciuto alcuni anni addietro, intorno al 2009, e mi fu presentato da Trovato presso la sua carrozzeria. Trovato mi disse che Rizza era uno dei più importanti trafficanti di armi e poteva fornirmi anche bazooka e Kalašnikov, nonché altre armi da guerra». A parlare è il collaboratore di giustizia lametino Giuseppe Giampà, “gola profonda” delle cosche di ‘ndrangheta di Lamezia Terme che, negli ultimi anni, ha fornito una serie cospicua di elementi investigativi che hanno portato ormai a processi definitivi come “Pegaso”, “Medusa” e “Perseo”. Per Franco Trovato, coinvolto proprio in quest’ultimo processo, recentemente la Corte di Cassazione ha disposto un nuovo giudizio, Trovato, infatti, era stato tratto in arresto nell’ambito dell’operazione “Perseo”, e condannato a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, con sentenza resa dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 7 luglio del 2017 e definitiva il 13 luglio del 2018.
In un interrogatorio reso ai pm e risalente al 26 ottobre del 2012, Giampà ricostruisce la figura di Domenico Rizza, classe 1956, tra le venti persone fermate dal blitz della Polizia su ordine della Distrettuale antimafia di Catanzaro, ma anche il contesto e lo scenario criminale lametino dell’epoca, e che vedeva proprio Rizza tra i protagonisti. «Trovato mi disse che aveva comprato varie pistole calibro 9 e 7,65 da Rizza; l’acquisto di queste armi avvenne in un contesto in cui aveva necessità di essere pronto a difendersi nei confronti di Saverio Cappello con il quale era entrato in contrasto. I fatti risalgono più o meno al 2009 ma già in precedenza Saverio, si era dispiaciuto per il comportamento di Trovato in quanto voleva aprire assieme al lui la discoteca ‘T Babylon” che poi invece aveva aperto con altri soci. Dopo il matrimonio di Chirumbolo e la relativa festa, ci recammo nella discoteca “Capriccio” gestita dai Trovato a Nocera Torinese». «Qui – ha riferito Giampà ai pm – avemmo a che dire con alcuni buttafuori di Vibo Valentia che non ci conoscevano e arrivammo con loro alle mani. Eravamo, tra gli altri, io Saverio Cappello e Domenico Giampà. Nel corso della discussione, Saverio venne alle mani con Franco Trovato e addirittura lo schiaffeggiò. Cercammo anche successivamente di comporre questa lite ma Franco Trovato si preoccupava di una possibile aggressione da parte di Saverio. Riuscimmo a mettere pace fino a che non vi fu un ulteriore episodio che coinvolse le due famiglie. Una sera, nella discoteca che si trova sul rettifilo di Sant’Eufemia a Lamezia gestita da Tonino Gallo, Luciano Trovato picchiò Giuseppe Cappello. A questo punto Trovato si armò per prevenire eventuali azioni da parte della famiglia Cappello».
«In questo contesto ci fu anche un attentato da parte dei Trovato ai danni dei Cappello» riferisce ancora Giampà nell’interrogatorio, «Franco e Gino Trovato, come mi dissero loro stessi, videro una macchina con a bordo Saverio Cappello, Giuseppe Cappello “cutulicchio” e Domenico Chirico “U battero” che passava su un cavalcavia dal quale si poteva vedere la carrozzeria. Si misero in una macchina e rincorsero l’autovettura dei Cappello che mi pare fosse una Punto nera. Giunti su via del Progresso, mentre la punto ritornava verso il cavalcavia dopo aver svoltato, esplosero all’indirizzo della stessa dei colpi di pistola calibro 9 alcuni dei quali attinsero anche la macchina. Alla fine, intervenimmo e mettemmo pace definitivamente. Ricordo anche che facemmo una cena di riconciliazione al ‘Pescatore” tant’è che presso la casa del padre dei Trovato, Vasile e Alessandro Torcasio “o’ cavallo” si appoggiarono in occasione dell’omicidio di Giuseppe Chirumbolo».
Un omicidio, quello di Giuseppe Chirumbolo, legato al presunto tentativo della vittima di «mettermi contro Saverio Cappello e provocare un’azione di questi nei miei confronti, approfittando dell’atteggiamento che noi avevamo avuto nella lite che vi era stata tra quest’ultimo e Trovato e che ci aveva visti se non schierati quanto meno propensi a riconoscere che i Trovato avevano ragione» «in quanto Saverio Cappello aveva esagerato e, soprattutto, ci aveva costretti a spalleggiarlo in una lite che riguardava solo suoi motivi personali».
«Rizza mi risulta avere avuto rapporti, in materia di traffico di armi, con Rosario Cappello, per come io ho appreso direttamente da questi» ha poi spiegato Giampà ai pm. «Si avvaleva di un ragazzo di nome Paciullo e sia quest’ultimo che Rizza, durante un periodo di detenzione nel carcere di Siano, dopo il mio ultimo arresto, mi hanno detto che avevano tante di quelle armi sotterrate in bidoni, tra cui venti Kalašnikov che nemmeno si ricordavano dove le avevano messe. Diceva Rizza che aveva in deposito armi per centinaia di migliaia di euro». «Mi risulta che Rizza abbia venduto anche armi a Vincenzo Torcasio “u niuru”, per averne appreso da Cappello Rosario dai Trovato e dallo stesso Rizza in carcere. Mi pare che si trattasse di pistole. Rizza vendeva anche armi agli Arena per come mi veniva riferito da lui stesso in carcere. In genere egli vendeva armi a tutti e si è trovato a farlo anche a cosche che erano in contrasto fra loro, ad esempio a Isola di Capo Rizzuto dove ha rifornito tanto gli Arena quanto i Nicoscia. In questo caso, Rizza aveva venduto anche armi pesanti come Kalashnikov. Voglio precisare che Rizza mi disse che, da un punto di vista rituale, non era mai stato “rimpiazzato” a livello di ‘ndrangheta». (g.curcio@corrierecal.it)
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