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«Intitolarle il nuovo ospedale sarebbe un segnale importante». La mamma di Federica Monteleone a Telesuonano

Mary Sorrentino ricorda la tragica morte della figlia di 16 anni. «Se fosse stata operata in una struttura adeguata forse sarebbe ancora viva»

Pubblicato il: 18/01/2024 – 6:48
«Intitolarle il nuovo ospedale sarebbe un segnale importante». La mamma di Federica Monteleone a Telesuonano

LAMEZIA TERME L’immagine della figlia con «un accenno di rivolo negli occhi» prima dell’operazione, l’entrata nella sala dalla quale uscirà in coma, l’incubo vissuto dalla famiglia. «Arriviamo in sala operatoria, ci salutiamo e le do un bacio sulla fronte. Le dico: “Mamma ti aspetta qui”, doveva essere un intervento breve». Mary Sorrentino ripercorre i tragici momenti della morte di Federica Monteleone, la figlia di 16 anni entrata nell’ospedale di Vibo Valentia per una sospetta appendicite e rimasta vittima della malasanità calabrese. Ospite di Telesuonano, il talk condotto da Danilo Monteleone e Ugo Floro in onda su L’altro Corriere Tv, Mary ricorda il ricovero, il caos in ospedale, il discusso processo e la reazione della comunità, fino all’idea di intitolarle il nuovo ospedale di Vibo. «I primi tempi – racconta – non sono stati semplici. Ero risucchiata da una sete di giustizia che, purtroppo, non ha avuto l’esito che speravo».

telesuonano mary sorrentino monteleone
Mary Sorrentino ospite di Telesuonano

La storia

Tutto ha inizio il 19 gennaio 2007, il giorno del ricovero. «Non trovavo il medico di base, Federica aveva dolori al fianco e una leggera febbre a 37». La visita, prima di andare in ospedale, dallo zio, anche lui dottore. «Chiamò il suo collega, il dottore Gradia, e gli disse: “Ti sto mandando mia nipote, non dovrebbe essere appendicite ma fagli un controllo”». Da lì il trasferimento in ospedale, la flebo e il ricovero. «Io ero serena, come lo era lei. Non erano dolori lancinanti, non la vedevo sofferente». Quindi la decisione dei medici di operarla comunque quel pomeriggio, intorno alle 16. «Non me l’aspettavo, eravamo impreparati essendo andati solo per una visita». Sul momento «ho pensato che almeno si sarebbe risparmiata l’ansia dell’intervento». Operazione che viene anche anticipata di due ore. «È venuto il medico, mi ha chiesto le analisi. Nessuno le aveva prese dal laboratorio, così è andato a ritirarle mio marito. Il dottore disse che l’emocromo non andava bene e che andava operata. Ovviamente tu, in quel momento, ti fidi».

Mary Sorrentino – Mamma di Federica Monteleone

Il trasferimento in sala operatoria

Il saluto con il bacio sulla fronte, Federica con gli occhi lucidi per l’ansia. In sala operatoria arriva anche lo zio. «Dopo un po’ è uscito, mi disse che Federica aveva avuto un calo pressorio e che dovevano riprenderla». Da quel momento, racconta Mary, «ha inizio il nostro incubo». Federica esce dalla sala operatoria intubata, trasportata in emergenza in rianimazione. «Notiamo troppo movimento di medici e strumentazione. Proviamo a chiedere ma riceviamo solo spintoni e ci dicevano di lasciarli lavorare». La scoperta, solo successiva, che «quella non era una vera sala operatoria, ma l’ex sala gessi di ortopedia allestita in modo provvisoria. Mancava il defibrillatore, il gruppo di continuità e l’apparecchio anestesiologico era collegato ad una ciabatta a tre prese». Dopo un’ora e mezza Federica ancora non era tornata dalla rianimazione. «Noi pretendiamo di vedere nostra figlia, ma ci portano in uno sgabuzzino di un metro e mezzo tra le lenzuola sporche»

Il coma e il trasferimento a Cosenza

In quello sgabuzzino restano fino alle 19, quando «ci chiamano per dirci che Federica era in coma e che sarebbe stato meglio trasferirla a Cosenza». Il trasferimento avviene in modo veloce, ma una volta arrivati all’ospedale un’altra amara sorpresa. «Non c’era la cartella clinica, avevano lasciato solo un foglio A4 con nome e cognome, l’intervento di appendicite e il coma». Quella cartella clinica spunterà tre giorni dopo «solo grazie all’intervento dell’assessore regionale e del ministro della salute». A Cosenza Federica morirà durante la notte del 26 gennaio, dopo sette giorni di rianimazione, senza essersi mai ripresa da quell’intervento. Al processo vengono condannati in sette, tra cui l’anestesista, il medico e il direttore sanitario. Condannato anche il titolare dell’impresa che aveva realizzato l’impianto elettrico.

Morta per una «scarica elettrica»

Secondo la ricostruzione processuale, infatti, Federica sarebbe morta per una «scarica elettrica». Una tesi non condivisa dalla madre. «Mia figlia è morta perché è rimasta 15 minuti senza ossigeno, per anossia. Ci sarà stato sicuramente un problema elettrico, ma Federica è morta perché l’apparecchio anestesiologico non funzionava e non c’è stato intervento immediato». Per la madre la verità è molto più tragica: «La mia idea è quel giorno, a San Mario, per l’onomastico dell’aiuto anestesista furono portati dolci. In attesa che Federica si svegliasse sono andati a consumarli, lasciandola sola durante il blackout. Questo spiegherebbe i 15 minuti senza ossigeno. Altrimenti, e ritengo che sarebbe molto più grave, sono stati per tutto quel tempo a guardarla senza intervenire». Un «atteggiamento arrogante» che sarebbe continuato anche durante il processo. «Nessuno di loro mi ha chiesto scusa, solo un elettricista che si presentò al funerale di Federica». Anche mentre testimoniavano di fronte al giudice «mantenevano sempre quell’arroganza che io stessa ho vissuto». «Addirittura mentre aspettavano la sentenza sono andati al bar, preso un vassoi di dolci e brindato al tavolo in nostra presenza». Ma, aggiunge, «io andrò avanti sulla strada della verità fino a che avrò fiato e forze»

La proposta di intitolarle il nuovo ospedale

Diversa la reazione da parte della società, tanta la vicinanza a Mary e alla sua famiglia. «Soprattutto Reggio e Cosenza, mentre di meno proprio a Vibo Valentia». La mamma di Federica si sofferma anche sulla salute della sanità calabrese. «Dopo mia figlia, in undici mesi ci sono stati i casi di Eva Ruscio e Flavio Scutellà. Da allora qualcosa è cambiato, ma sono ancora troppi i casi di malasanità in Italia». L’idea, nata dopo la morte di Federica, di intitolarle il nuovo ospedale di Vibo. «Me l’aveva proposto l’ex presidente della Regione Loiero, spero succeda perché avrebbe un grande valore simbolico e sarebbe come un atto di rinascita. Ci sono molti medici bravi che sono limitati proprio dalle carenze strutturali e di attrezzatura». Anche perché, aggiunge con amarezza. «sono convinta che se Federica fosse stata operata in una struttura adeguata, forse sarebbe ancora viva». (redazione@corrierecal.it)

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