COSENZA C’è un gol che forse più di altri rimarrà per sempre scolpito nei ricordi dei tifosi del Cosenza negli anni in cui Marco Negri ha vestito la maglia rossoblù. Siamo nel mese di gennaio, proprio come oggi, ma del 1995: i Lupi guidati da Alberto Zaccheroni e penalizzati in classifica di nove punti, sfidano in trasferta il Venezia di Bobo Vieri e Gian Piero Ventura. Quel giorno l’attaccante milanese diventa il protagonista assoluto della partita con due reti messe a segno (l’altra la realizzerà Enrico Buonocore). Soprattutto una, almeno per i meno giovani, si fa fatica a dimenticarla: rovesciata spettacolare che si insacca alle spalle di Mazzantini e silani che espugnano il “Penzo”. Impossibile quindi, alla vigilia di un Cosenza-Venezia di tanti anni dopo, resistere alla tentazione di chiedere al diretto interessato di raccontarci quella prodezza. Marco Negri ci risponde dalla sua casa milanese con la gentilezza che da sempre lo contraddistingue. «Quella per me fu una partita speciale – ricorda l’ex attaccante di Rangers, Bologna e Perugia – perché sono cresciuto in provincia di Gorizia, in Friuli Venezia Giulia, e a Venezia venne a vedermi l’intera famiglia. Ci tenevo a far bella figura e andò tutto benissimo. Avevamo bisogno di punti per la penalizzazione subita e vincemmo con merito. Quel Cosenza credo sia ricordato anche perché giocava sia in casa che fuori con la stessa personalità, spesso in maniera spettacolare. Quell’anno sono riuscito a mettermi in mostra perché la squadra col gioco di mister Zaccheroni creava tanto. La rovesciata? È stato un gesto istintivo, ma la cosa più emozionante è arrivata dopo quando tutti i compagni mi sono venuti incontro. Vedendo il video di quell’esultanza si capisce quanto fossimo uniti come gruppo. Una partita che è stata determinante per la salvezza da un punto di vista mentale. In rovesciata in carriera ho fatto quattro o cinque gol, quello di Venezia sicuramente resta indimenticabile, è stato uno dei più belli».
Oggi Negri continua a lavorare nel mondo del calcio: organizza partite di beneficenza con le leggende dei Rangers (suo vecchio club in Scozia), football camp a Perugia (altra città in cui ha giocato) con i ragazzi e poi attende di mettersi nuovamente alla prova, dopo Udine nel 2017 quando ha fatto parte dello staff della prima squadra preparando gli attaccanti. «Aspetto una chiamata per svolgere questo nuovo ruolo che sta prendendo piede – ammette Negri – ma non ha ancora un posto fisso come lo è ad esempio il preparatore dei portieri». In un Paese come l’Italia che necessita come il pane di bomber, le dritte di un attaccante di razza come Marco Negri potrebbero aiutare non poco a far sbocciare giovani talenti.
Lo stesso Cosenza oggi ne avrebbe bisogno. «Si tratta di un ruolo fondamentale – spiega Negri – analogo a quello del portiere e poi si sa, gli attaccanti fanno le fortune delle squadre. Il Cosenza quest’anno ha un attacco che per la categoria è molto fornito e offre all’allenatore delle carte con caratteristiche differenti. C’è tutto per fare bene, ma la parola più importante per una squadra è l’equilibrio tattico. In questo momento penso che la squadra abbia un po’ di paura, ho visto i numeri recenti e fare quattro gol in trasferta in tutto il campionato e due punti nelle ultime sei partite è chiaro che psicologicamente ti fa giocare con paura. Quando ti abbassi troppo gli attaccanti sono i primi a soffrire. Quando si fatica a segnare, il preparatore degli attaccanti sicuramente può essere un valore aggiunto».
«Senza ombra di dubbio. Come una fiammella, ci ripensi e c’è subito la vampata del ricordo. Gigi era una persona eccezionale, è stato uno dei compagni di reparto più forti con cui abbia giocato. Tutti gli attaccanti che arrivavano a Cosenza facevano bene perché c’era lui. Era fortissimo, generoso, un leader silenzioso, per lui veniva prima l’amore per la sua squadra. Rappresentava l’esempio di come ti dovevi comportare se volevi indossare quella maglia. Soprattutto all’estero si abusa spesso della parola leggenda per definire alcuni calciatori, ecco Gigi lo è davvero».
«Gigi è uno di quei calciatori che quando arrivi a fine carriera ti fanno capire di essere stato fortunato a condividere con loro alcuni momenti della tua vita. Per me è stata una persona speciale, come quella giornata in cui ho presentato il libro. Gli avevo chiesto di essere presente e lui arrivò guidando una Harley-Davidson. Lo presi in giro dicendogli: “Ma dove vai con quella moto che non tocchi neanche a terra?”. Era una persona ironica, intelligente, che stava allo scherzo. È stata l’ultima volta che l’ho visto».
«Quando penso al nome Cosenza c’è un asterisco nella mia carriera. L’annata del meno nove in classifica la terrò sempre nel cuore. Portare a casa quella salvezza contro tutto e tutti dopo mesi e mesi di stipendi non pagati e tante altre problematiche, è stato un qualcosa di incredibile che metto allo stesso livello di una promozione in serie A o della mia esperienza all’estero».
«Hai toccato l’unico tasto dolente della mia carriera. Dico unico perché in fondo ho avuto la fortuna di giocare in tutte le categorie fino alla Champions League. Essere andato vicino alla convocazione in Nazionale nell’anno in cui ho fatto tanti gol in Scozia (a dicembre 1997 ne aveva realizzati già 30, ndr) e averla persa probabilmente per un grave infortunio a un occhio causato da una pallina da squash, mi provoca un po’ di dispiacere. Giocare anche un minuto in maglia azzurra avrebbe reso la mia carriera ancora più speciale. Ma io dico sempre che nella vita invece che piangere per ciò che non è successo, bisogna esser felici di quello che è successo».
«Oggi tutto è cambiato. Il rapporto tra calciatori e tifosi è diverso rispetto al passato e credo che in qualche modo vada recuperato per far appassionare ancora di più le nuove generazioni che devono innamorarsi dei colori della squadra della propria città. La storia di un club, come ad esempio il Cosenza, è fatta di piccole storie di tanti atleti che devono essere tramandate di padre in figlio».
«L’unica cosa che mi sento di dire sia alla tifoseria che alla società è di remare dalla stessa parte. Quando tutti hanno un’unica visione è sempre un bene e le cose si raddrizzano. La serie B è un valore grande per Cosenza. Quest’anno, evidentemente, dopo le prime partite si era assaporato un profumo diverso rispetto al solito e le aspettative erano aumentate. Le aspettative, però, nello sport spesso sono un nemico. Adesso serve solo una scintilla in grado di ridare un po’ di energia alla squadra e all’ambiente. Fare del “Marulla” un fortino inespugnabile credo che dovrà diventare la regola per il raggiungimento dell’obiettivo principale».
«Il Parma è la squadra più strutturata. Gioca bene e ha grande continuità. Penso poi alla Cremonese che ha un allenatore abituato a vincere e un attaccante come Coda che sa far gol. E poi il Venezia, squadra molto brillante anche se ancora non continua. Queste tre sono le mie favorite».
«Bisogna ringraziare la Juventus, e non perché io ne sono tifoso, se questa serie A è ancora viva. Senza la Juve che non molla nulla, staremmo ad assistere anche quest’anno a un campionato a senso unico. A guardare l’organico, l’Inter ha indubbiamente qualcosa di più tecnicamente, ma attenzione alla Juve, ha un DNA vincente e darà battaglia per un bel po’».
«Ci sono dei profili interessanti in prospettiva. Penso a Lucca dell’Udinese e Scamacca dell’Atalanta. È chiaro che rispetto a qualche anno fa, il livello si è abbassato. Quando giocavo io se volevi puntare alla Nazionale dovevi lottare con gente come Vieri, Baggio, Zola, Vialli, Mancini, Inzaghi, Totti, Del Piero e chissà quanti ne dimentico».
«Partita delicatissima perché il Venezia ha tante armi offensive, con calciatori molto veloci a cui non bisogna concedere spazi. Il Cosenza dovrà affrontarla con intelligenza e pazienza, senza cercare subito la rete. Bisognerà mettere in campo grande solidità e compattezza per portare a casa una vittoria che a questo punto della stagione non può più sfuggire». (f.veltri@corrierecal.it)
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