Ci mancava la crisi del Mar Rosso per aggravare la situazione del porto di Gioia Tauro. Il nuovo conflitto yemenita che complica il passaggio attraverso il canale di Suez offusca gli orizzonti del porto calabrese già nuvolosi per la direttiva europea sulla decarbonizzazione entrata ormai in vigore. La questione è un po’ uscita dall’orizzonte, per l’inflazione e la dispersione di notizie tipica del dibattito pubblico contemporaneo, ma il problema resta. Se già la carbon tax comportava il serio rischio di delocalizzare gli approdi delle grandi navi cargo, la crisi africana allunga tempi e fa lievitare costi delle attività di transhipment. Proprio quando – sono dati di fine dicembre – i conti del più grande porto italiano sfondavano il tetto dei 3 milioni e 500 mila Teu movimentati in un anno. Sembra che il destino si stia divertendo con la Calabria per affondare il “grande orgoglio” regionale (Occhiuto lo ha ribadito alla convention degli azzurri a Napoli) che, caso da studiare, riesce a superare e in qualche modo ad annullare, con la forza dei risultati, la cronaca infausta che accompagnava gli sbarchi portuali. Un esempio – piccola digressione – di come questo bilanciamento tra reputazione negativa e occasioni di rilancio e sviluppo sia possibile in Calabria.
Torniamo al porto. Il rischio di contrazione delle attività del Porto di Gioia è un campanello d’allarme nel contesto più generale del piano di risorse e investimenti per la Calabria e il Mezzogiorno. Pur con gli ottimi risultati incassati a Roma dal governatore Occhiuto, lo scenario da capire fino in fondo è quello dei tagli alla spesa stimabili per tutto il Sud in circa 20 miliardi di euro e la gestione dei finanziamenti secondo il nuovo modello Fitto. Smantellata l’Agenzia di coesione le competenze di programmazione e coordinamento dei fondi comunitari e nazionali per il Sud sono passati direttamente a Palazzo Chigi. È questo il tasto su cui insiste, solitario, il governatore della Campania che ha annunciato di denunciare il ministro Fitto.
Con la ridefinizione del Pnrr, inoltre, non c’è traccia del permanere della fetta del 40 per cento dei progetti al Sud, come era lo spirito iniziale del piano voluto da Draghi, dettaglio di non poco conto che consentì l’approvazione da parte della Commissione europea. Se consideriamo che Calabria e Sicilia dovranno poi mettere mano alla tasca per sostenere le spese del Ponte e che è stato tagliato anche il fondo per la perequazioni infrastrutturale prosciugandolo dai quasi 5 miliardi a 700 milioni, sarà difficile proprio per i presidenti di area governativa del Mezzogiorno garantire lealtà politica alla maggioranza e ai loro territori. E il più esposto, per leadership interna ed esterna, è proprio Occhiuto. Il banco di prova sarà il piano di coesione per la Calabria. La firma tra il governo Meloni e la regione Emilia Romagna, guidata dal Pd Bonaccini, indebolisce la tesi secondo cui il Governo voglia “lasciare in mutande” le regioni rosse. Sarà dura per De Luca perseverare nella battaglia. Ma il Sud è un’opzione non ancora toccata dalle firme del Governo. E qualcosa lascia intendere che la Calabria farà da apripista. (redazione@corrierecal.it)
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