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La riflessione

Ripartire dal cuore

Gli episodi di violenza che si susseguono numerosi e che vedono spesso protagonisti le giovani generazioni, non ultime le aggressioni ad un parroco del reggino e al dirigente scolastico del Liceo …

Pubblicato il: 22/01/2024 – 19:10
di Rosa Filice*
Ripartire dal cuore

Gli episodi di violenza che si susseguono numerosi e che vedono spesso protagonisti le giovani generazioni, non ultime le aggressioni ad un parroco del reggino e al dirigente scolastico del Liceo Scientifico di Cosenza, suscitano tanta preoccupazione e ci invitano ad una profonda riflessione. Cosa ha provocato tutto questo? Perché aumentano gli episodi di bullismo e le baby gang impazzano nelle città?
Le analisi sociologiche del fenomeno sono numerose e condivisibili come pure giuste sono le condanne ma dopo?  Finita l’emozione o la rabbia del momento tutto rimane più o meno come prima: la radice del problema, la crisi dell’umano, resta. Famiglia, scuola, chiesa e politica, un tempo luoghi di riferimento, di crescita, di confronto e anche di scontro, non essendo più in grado di dare risposte adeguate al problema perdono sempre di più il loro ruolo educativo e sociale.
Da genitori ed educatori ci chiediamo: “Dove stiamo portando i nostri figli”? È una domanda che mai come oggi diventa preoccupazione, se non angoscia, e segno tangibile della confusione che domina il nostro tempo, in cui abbiamo anche visto nascere, crescere, svilupparsi molte cose belle, tante conquiste della scienza, ma alla cosa più cara, i nostri figli, non sappiamo offrire qualcosa di veramente significativo affinché possano orientarsi in mezzo alla confusione in cui ci troviamo a vivere.
Questa è la vera sfida che abbiamo tutti davanti: famiglia, scuola Chiesa, partiti, imprenditori, tutti. La più grande che la società si trova ad affrontare, cioè la sfida educativa, rispetto alla quale le altre, quella economica, sociale e politica, non sono che conseguenze.
I nostri giovani oggi, come documentato da numerose ricerche e da chi opera giornalmente in mezzo a loro, mancano di autostima necessaria per affrontare la vita.  “Il padre dov’è”, chiede provocatoriamente lo psicanalista di formazione junghiana Claudio Risé che esprime la sua preoccupazione per il vuoto lasciato dall’assenza e/o dallo sbiadimento della figura paterna che è in relazione alla bassa autostima.
I padri o, più genericamente, gli adulti − siano essi padri, educatori, maestri o preti − non sono in grado di offrire un’ipotesi di risposta all’altezza del bisogno dei figli; hanno completamente abdicato alla funzione educativa per trasformarsi in sindacalisti dei figli risparmiando loro la fatica del vivere quotidiano, spianando loro la strada ed evitando impegno e fatica. Proprio tale senso di protezione, indice di una sfiducia collettiva nelle loro capacità, nella possibilità di essere sé stessi, di crescere e di svilupparsi, diminuisce drammaticamente l’autostima dei ragazzi.
L’«io» come realtà personale, originale, autonoma, con capacità di libertà, in grado di porsi come soggetto nella storia e nelle circostanze non c’è più. Se non si riconosce l’originalità dei nostri ragazzi e non si considera che essi hanno cervelli funzionanti, prevale l’annullamento dell’io; si lascia campo libero ai “cattivi maestri”, influencer, rapper, ecc. che, come afferma Antonio Polito nel libro “Contro i papà”, «fanno danni non minori dei padri nel senso che li arrecano a un’intera generazione di figli. Sono i cattivi maestri, intesi nel senso letterale e non metaforico del termine: gente che cioè insegna male, cose sbagliate, metodi approssimativi, idee perniciose. […] È attraverso le loro parole e le loro immagini che i nostri figli apprendono a sperare o a disperare»
Basta un minimo di rapporto con i ragazzi per scoprire che c’è in loro un’irriducibile esigenza di verità, di bellezza e di giustizia, di felicità, fondamento dell’io. Bisogna quindi ripartire da quei cervelli funzionanti, da quel cuore che non può essere ridotto a fattori psicologici, biologici e sociali, il cuore con le sue esigenze e con le sue attese.  A questa attesa deve essere trovata una riposta adeguata.
Occorre risvegliare l’io dei giovani; ma anche quello degli adulti. Questa è la sfida che abbiamo tutti davanti: scuola, famiglia, Chiesa, partiti, imprenditori, tutti. Per risvegliare l’io dal suo torpore e dalla noia non basta una lezione o soltanto un richiamo etico (che può essere utile), una predica; occorre un adulto che con la sua vita sia in grado di fare interessare il giovane alla sua esistenza. Occorre un testimone o, con una parola che oggi non è politically correct, un’autorità, cioè qualcuno che fa crescere, che genera con la sua presenza. Scopo dell’educazione è formare un uomo nuovo, capace di agire da sé e affrontare le circostanze con la consapevolezza della responsabilità della scelta che deve essere sempre personale. La vera educazione è quindi un’educazione alla critica, il paragone tra ciò che viene proposto e i desideri del cuore per evitare il rischio di perdersi.
Gli adulti hanno avuto troppa paura di questa “critica”, del rischio di generare un soggetto autonomo: l’esperienza deve farla il giovane stesso perché questo rappresenta l’avverarsi della sua libertà.

*componente Base Popolare Calabria

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