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L’intervista

Autobomba Limbadi, parla la mamma Sara: «Matteo non ce lo ridarà nessuno, ma chiediamo certezza della pena»

La madre del biologo vibonese ucciso nel 2018 si dice «un po’ abbattuta» per i tempi del processo. «Servono condanne esemplari»

Pubblicato il: 24/01/2024 – 16:32
Autobomba Limbadi, parla la mamma Sara: «Matteo non ce lo ridarà nessuno, ma chiediamo certezza della pena»

LIMBADI «Matteo non ce lo ridarà più nessuno, ma almeno le condanne devono essere esemplari». Invoca giustizia e certezza della pena Sara Scarpulla, madre di Matteo Vinci, ucciso con un’autobomba il 9 aprile 2018 dalla ‘ndrangheta. Nell’attentato rimase ferito e ustionato anche Francesco, il papà di Matteo. Due giorni fa è arrivata la sentenza della Corte di Appello sul processo ai presunti mandanti ed esecutori, con un lieve sconto di pena sulle condanne inflitte in primo grado. I reati contestati si concentravano principalmente sul traffico di droga, mentre per l’omicidio di Matteo la sentenza d’appello deve ancora arrivare. “Lentezza” che preoccupa Sara: «Ancora mancano due gradi e continuano a rinviare. Noi chiediamo solo giustizia e, soprattutto, certezza della pena. Più che per noi, per i giovani che crescono e devono avere fiducia nello stato».

Le persecuzioni e l’attentato

Un pezzo di terreno conteso, le aggressioni e l’attentato. Sara ancora non si dà pace per l’omicidio di Matteo. «Noi abbiamo scelto di combattere per difendere una terra che i nostri avi, con sacrifici, avevano trasmesso a noi. Abbiamo combattuto per trent’anni». Matteo, nel frattempo, stava costruendo la sua vita. «Abbiamo sempre tentato di lasciarlo fuori da questa situazione» ricorda Sara. Anche quando, poco prima dell’autobomba, il padre Francesco era stato aggredito con un’ascia e una pistola, facendolo finire in gravi condizioni all’ospedale. «Matteo era in Argentina e tentai di non dirglielo per lasciarlo tranquillo. Ma quando tornò vide suo padre all’aeroporto ridotto in quelle condizioni, per lui fu un colpo». Da allora qualcosa in lui cambiò, si chiuse in se stesso e restò vicino alla famiglia. Il 9 aprile 2018 l’autobomba che uccise Matteo e ferì gravemente Francesco. «Lui è davvero una vittima innocente, perché non c’entrava nulla, neanche li conosceva né aveva mai avuto a che fare. Eravamo noi a combattere».

Il dolore del marito

Una battaglia fatta di aggressioni da una parte e di denunce, inascoltate, dall’altra. «Mio marito ha subìto tre aggressioni: nella prima hanno colpito anche me, nella seconda lo hanno lasciato moribondo dopo averlo colpito alla testa con l’ascia e con una pistola». La terza, l’autobomba, con la morte di Matteo e le gravissime ferite riportate da Francesco. «Come può vivere un uomo che è sopravvissuto a tre attentati e ha visto il figlio bruciare?». Sara Scarpulla ricorda con dolore e fatica i momenti cruenti vissuti dal marito, soprattutto dopo la seconda aggressione in cui «gli hanno aperto la testa». «Oggi non riesce nemmeno a camminare e non riesce a parlare. Sono le conseguenze di queste aggressioni».

Il processo

In primo grado per l’omicidio di Matteo sono stati condannati all’ergastolo i presunti mandanti Vito Barbara e Rosaria Mancuso. Dieci anni invece a Domenico Di Grillo per l’aggressione nel 2017 al padre Francesco. Assolti definitivamente i presunti esecutori Antonio Criniti e Filippo De Marco, condannati invece per traffico di droga in appello due giorni fa rispettivamente a 8 anni e 4 mesi e 8 anni e 7 mesi. Condanne arrivate insieme a quelle di Barbara e Mancuso. «Io sono incredula, lo trovo assurdo. Ci sono le intercettazioni, erano anche nello stesso giro di droga come conferma la sentenza». «Nel primo grado siamo quasi passati noi per bugiardi, hanno creduto più a loro che a noi che non abbiamo nulla da guadagnare, anzi conviviamo con un dolore che non possono capire». Sara Scarpulla parla di delusione e si dice «un po’ abbattuta» per la risposta della giustizia e ricalca nuovamente l’aspetto della certezza della pena. «Come non c’è modo che io possa passare un solo giorno con Matteo, loro non devono poter uscire dal carcere fino alla scadenza della pena».

«Combatterò finché ho forza»

Una persecuzione che, racconta Sara, continuerebbe ancora. «Abitano a pochi metri da noi, alcuni di loro ancora passano e urlano lamenti provocatori come facevano ai vecchi funerali o lasciano birre e sporcizia. Sia davanti casa sia davanti il monumento dedicato a Matteo sul luogo in cui è morto. Non hanno rispetto neanche per i defunti». Ma non cambia neanche «la voglia di lottare e resistere. Non cederò finché avrò forza». Anche grazie al supporto di cittadini e istituzioni, «come la dottoressa Marisa Manzini o Angela Napoli». Il pensiero finale lo rivolge ai giovani. «È come se vedessi la progenie di Matteo, lui mi ha donato tutti questi figli. Mi impegno più per voi che per me stessa» dice con emozione Sara. «Mi piacerebbe vedervi sereni, felici nel vostro paese, con le vostre famiglie e non vedervi emigrare. Dobbiamo liberare il Sud da questo male. Come voleva Matteo». (Ma.Ru.)

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