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La Calabria e la grande Africa hanno troppi affari sporchi in comune

È evidente che il network globale della droga trova le sue radici fondative un trentennio fa e da allora cargo e pescherecci hanno solcato molti mari e creato diversi approdi della rotta della ‘ndr…

Pubblicato il: 25/01/2024 – 6:38
di Paride Leporace
La Calabria e la grande Africa hanno troppi affari sporchi in comune

Febbraio 1991. Spiaggia di Steccato di Cutro, oggi tristemente famosa per l’eccidio dei migranti e all’epoca sconosciuta al circo mediatico. I carabinieri in quel sito storico di contrabbandieri sequestrano tre tonnellate di hashish divisi in quattromila panetti. Gli spedizionieri sono una banda di marocchini a Torino che fa entrare la droga proveniente dalla Spagna. È l’inizio della rotta della droga internazionale degli stupefacenti importati dalla ‘ndrangheta via Africa. Per lungo tempo nessuno presterà attenzione al nuovo fenomeno. Nell’aprile del 1993, negli annali dell’organizzazione scritti dallo storico Enzo Ciconte apprendiamo che Emilio Di Giovane, narcotrafficante calabrese che gestisce il mercato a Milano, avrebbe organizzato un traffico di hashish di sette tonnellate caricato sulla nave Femi battente bandiera norvegese, segnalata al porto di Scilla e poi fermata al largo di Stromboli. Nel traffico c’erano già gli africoti residenti a Milano e Torino. Il capitano della nave Femi, Herbert Gunter Gerling, affermò di essere stato ingaggiato dai celebri narcos sudamericani Victor e Albert Manolo. È evidente che il network globale della droga trova le sue radici fondative un trentennio fa e da allora cargo e pescherecci hanno solcato molti mari e creato diversi approdi della rotta della ‘ndrangheta.

Gli affari a Capo Verde

Le isole di Capo Verde, sono dieci isolette vulcaniche paradiso per turisti poste a 500 chilometri della costa africana. Nell’aprile del 2022, agenti americani con la polizia locale hanno intercettato un peschereccio con 5.000 chili di cocaina. L’imbarcazione proviene dal Brasile e vengono fermati due marinai carioca e cinque montenegrini. I calabresi non fanno i marinai, ma c’è il fondato sospetto che siano dei broker dei preziosi carichi. Ci sono elementi per sostenerlo. Assunto Megna è un imprenditore ittico vibonese indagato per essere uomo dei Mancuso. Suo figlio, Pasquale Alessandro, con gli inquirenti ha riferito di attività di famiglia a Capo Verde con la proprietà di un capannone dedicato alla lavorazione del tonno e di pescherecci. Nelle attività di indagini sono stati acquisiti bonifici dei Megna pagati a Vito Cappello, un siciliano che nel 2012 era risultato indagato in giri globali della cocaina. Leggiamo il verbale di Pasquale Alessandro: «Mio padre ha aperto una attività a Capoverde, in società con delle persone di cui non mi ha indicato il nome, avviando un capannone per la lavorazione del tonno e, procedendo all’acquisto o all’affitto di alcune imbarcazioni utilizzate per la pesca del tonno. Di questa vicenda sono venuto a conoscenza per puro caso, al momento in cui ha avuto inizio la pandemia. In quell’occasione, mio padre mi disse che da un anno o un anno e mezzo circa aveva avviato quell’attività e che a causa del Covid stava avendo delle difficoltà. In seguito, in occasione di suoi viaggi a Capoverde, mi ha anche mandato dei video e delle foto del capannone, ma non so dire quale sia il nome della società o se ci sia una insegna». Tonno o cocaina? AI posteri la sentenza.

Il “narcostato” della Guinea Bissau

Altro luogo africano degno di indagine è la Guinea Bissau, una sorta di narcostato poco noto all’opinione pubblica. Anche qui c’è un grande arcipelago, le isole Bijagòs. Sequestrati da queste parti diversi pescherecci zeppi di cocaina. Uno di questi è stato ricondotto a un maliano che, secondo il consiglio di sicurezza dell’Onu, sfrutta i proventi del narcotraffico per finanziare il gruppo terroristico Al-Mourabitoun, affiliato ad Al-Qaeda. Chi acquista dai terroristi? Qualcuno che non se ne fa scrupolo in nome del guadagno. I rapporti delle Nazioni Unite stimano che “non meno di 30 tonnellate” di cocaina passino ogni anno attraverso la Guinea-Bissau. La maggior parte dei carichi di droga sono ancora paracadutati nelle isole al largo del paese. Alcuni sono trasportati a nord da pescherecci battenti bandiera di altri paesi, verso Senegal, Mauritania o Marocco, mentre il resto viene trasportato sulla costa da pescatori locali e poi trasportato da militari corrotti al di là dei confini. Si spera che l’Interpol abbia messo sotto osservazione europei e calabresi che per via telematica e in loco abbiamo rapporti in quegli stati.

Il porto di Durban nel Sudafrica

Altra zona chiave è il Sudafrica. Da un rapporto del 2021 si apprende che il Paese di Nelson Mandela è un nodo chiave nel commercio globale. Molto transita dal porto di Durban, il più grande porto dell’Africa sub sahariana. Gli investigatori hanno identificato il porto spedizionario in Brasile a Santos, la città di Pelè. Quelli che si occupano del carico sono gli aderenti al cartello criminale del Primeiro Comando da Capital che si racconta sia stato fondato nella prigione di Taubatè a San Paolo del Brasile. Fonti accreditate come il Guardian sostengono che il Comando “lavora soprattutto con la ‘ndrangheta calabrese”. Era stato nel 2012 l’organismo dei procuratori federali brasiliani a indicare l’alleanza dei due mondi indicando anche un ufficiale di collegamento chiamato “Dido”. Nelle cronache non potevano mancare segnalazioni di contatti tra Rocco Morabito il celebre “Tamunga” con Marcos Roberto de Almeida detto “Africano” uno dei più autorevoli esponenti del Comando. Si hanno anche riscontri con carichi che da Santos sono giunti a Gioia Tauro. Se sappiamo tramite l’autorità brasiliana che da Santos nel 2022 sono state inviate 60 tonnellate di cocaina non sappiamo quante ne facciano scalo nei porti africani. Ma c’è chi indaga e trova tracce fedele alla massima di Giovanni Falcone: “seguiti i soldi”. La procura di Locri e il commissariato di Bovalino nel 2020 identificarono tre persone sospettate di corruzione internazionale accusati di aver pagato tangenti al direttore regionale delle miniere e della geologia di Yamoussoukro e successivamente al direttore dell’ufficio ivoriano dei Parchi e delle Riserve della stessa zona in Costa d’Avorio. Nelle società coinvolte nel losco affare delle miniere d’Africa non mancava un socio riconducibile alle cosche di Platì.
La Calabria e la grande Africa hanno troppi affari sporchi in comune. (redazione@corrierecal.it)

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