CATANZARO Sarà processato anche Giovanni Barone, commercialista calabrese, l’indagato principale dell’inchiesta “Rinascita 3 – Assocompari” della Dda di Catanzaro. Questa la decisione del gup di Catanzaro. Nell’ultima udienza la sua posizione era stata stralciata per omessa notifica del 415-bis, ovvero notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari all’avvocato difensore. Un vero colpo di scena perché – alla luce della riforma Cartabia – il rischio concreto era quello della improcedibilità. Andranno a processo anche Saverio Boragina e Basilio Caparrotta (cl. ‘61) per i quali vi era stato un problema di notifica alla precedente udienza preliminare. Ammessa all’abbreviato condizionato Erika Ventrici. Quattro, invece, gli indagati ammessi al rito alternativo: Vincenzo Barba, 72 anni, di Filogaso; Giuseppina De Luca, 55 anni, di Vibo Valentia; Giuseppe Fortuna, 46 anni, di Filogaso, e Giuseppe Fortuna, 60 anni di Vibo Valentia. L’udienza, davanti al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, è già stata fissata per il 13 marzo 2024 per il processo ordinario; il 29 febbraio per l’abbreviato.
Giovanni Barone, dunque, sarà processato anche per la presunta truffa internazionale della quale sarebbe mente ed esecutore a vantaggio delle cosche e in danno dei Sultani dell’Oman. Questi ultimi si sono costituiti parti civili, rappresentati in aula dall’avvocato Massimiliano De Benetti del foro di Padova con studio a Roma, difensore anche del Comune di Pizzo nello stesso processo. È stato proprio De Benetti a depositare la querela in tempi record. I Sultani hanno subito e chiesto il risarcimento di un danno da un milione di euro contro tutti gli imputati coinvolti, danno del quale, ha detto il legale in aula, sarà data prova documentale nel corso del processo che si preannuncia caldo sotto il profilo dei soggetti internazionali coinvolti.
Così come emerso dalle indagini della Distrettuale antimafia, tutto ruoterebbe attorno alla truffa ai danni dei sultani dell’Oman. La scoperta di una truffa nel sultanato dell’Oman nasce dall’intercettazione di una lite tra Giovanni Barone, commercialista calabrese di 54 anni, e Guy Anthony Rees, 59 anni, nato in Gran Bretagna e residente a Milano. In mezzo c’è la società “Veritas Menedzement Kft” della quali sono contitolari al 50% Barone (che però si sarebbe ritagliato il ruolo di gestore occulto e vi avrebbe operato in qualità di componente della cosca di ‘ndrangheta facente capo al clan Bonavota) e Guy Anthony Rees. Secondo gli investigatori la Veritas sarebbe fittiziamente riconducibile per titolarità formale delle quote alla società Short List Management «quando in realtà le stesse sarebbero state sostanzialmente riconducili alle persone di Barone Giovanni e Rees Guy Anthony».
Tra l’11 luglio e il 24 luglio del 2017, infatti, sono stati effettuati sul conto della Veritas tre bonifici «palesemente riconducibili ad investitori dell’Oman» per un milione di euro complessivi. Tale somma veniva subito “alleggerita” di 630mila euro tramite una serie di pagamenti in favore di Edina Szilagyi (475mila euro), Giovanni Barone (150mila euro) e Gaetano Loschiavo (5000 euro). I soldi sarebbero stati utilizzati per acquisire le quote societaria della società S&L. F.C. srl, titolare dell’immobile in corso di costruzione in contrada Marinella di Pizzo Calabro. Non solo. Avrebbero ristorato, grazie ad un sistema di “cessioni di credito”, gli appetiti delle imprese mafiose, impegnate nei lavori del cantiere di Pizzo tra cui, in primis, «la F&G srl (società riconducibile agli omonimi cugini Giuseppe Fortuna – sodali della cosca Bonavota) la quale riceveva una somma di oltre 98mila euro frutto proprio della provvista pervenuta dall’Oman». Con 230mila euro è stato poi acquistato uno yatch Azimut denominato “Nelly Star” che Barone ha intestato fittiziamente a una società riconducibile all’avvocatessa Szilagyi.
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x