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La decisione

La Corte dell’Aja a Israele: «Eviti atti di genocidio»

Sentenza della massima corte delle Nazioni Unite. Le reazioni del Mondo

Pubblicato il: 26/01/2024 – 19:07
La Corte dell’Aja a Israele: «Eviti atti di genocidio»

La massima Corte di Giustizia delle Nazioni Unite ha ordinato a Israele di prevenire «atti di genocidio», e ha chiesto di limitare morti e danni ai civili, ma non è arrivata a imporre la sospensione dell’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza, richiesta principale del Sudafrica che ha mosso il caso contro Israele per «genocidio».
Israele deve adottare «tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio», ha affermato la Corte internazionale di giustizia all’Aia, insistendo anche sul fatto che lo Stato ebraico deve consentire gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. La Corte di Giustizia dell’Aia ha ordinato a Israele di riferire sulla questione dinanzi al tribunale, entro un mese.
La Corte – le cui sentenze sono vincolanti per Israele – ha poi chiesto di adottare ulteriori misure per proteggere i palestinesi, ma non ha ordinato – come molti si aspettavano – di porre fine alle operazioni militari nella Striscia di Gaza, la richiesta chiave mossa dal Sudafrica.

Anp: «Giudici a favore dell’umanità»


Il ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Riyad al Maliki, ha celebrato la sentenza della Corte internazionale di giustizia, che ha chiesto a Israele di adottare “le misure necessarie per evitare un genocidio” e ha ricordato che le decisioni del tribunale dell’Onu sono di “vincolanti”.
“La Palestina accoglie con favore le misure provvisorie ordinate oggi dalla Corte internazionale di Giustizia contro Israele. I giudici hanno analizzato i fatti e la legge e si sono pronunciati a favore dell’umanità e del diritto internazionale”, ha detto Maliki in un videomessaggio diffuso dal suo ministero.

Fonti Israele, meglio che si potesse ottenere

Fonti politiche del governo israeliano, dopo la sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja in merito alla causa intentata dal Sudafrica contro Israele, hanno detto che si tratta del “meglio che Israele potesse ottenere, perche’ il Sudafrica non è riuscito a fermare la guerra”.
Le fonti, che hanno parlato con il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, hanno aggiunto che “tutte le richieste” della Corte “sono cose su cui Israele è già impegnato”; ma nella sentenza “non c’è la fine alle ostilità, e non c’è nulla di pratico che ci vieti di fare qualcosa di quello che facciamo. I combattimenti continueranno come al solito”.

Sudafrica: Da Corte implicita richiesta tregua

Israele dovrà fermare i combattimenti a Gaza, se vuole rispettare gli ordini della Corte internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite. Lo sostiene, Naledi Pandor, ministra degli Esteri del Sudafrica, parlado alla stampa dalla sede della Corte all’Aia.
“Come si forniscono aiuti e acqua senza un cessate il fuoco?”, ha chiesto Pandor. “Se leggete l’ordine, implicitamente deve avvenire un cessate il fuoco”, ha commentato la ministra come riporta Al Jazeera.

Belgio: Israele rispetti l’ordinanza

Il governo del Belgio ha invitato Israele a “attuare pienamente” l’ordinanza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite che oggi ha esortato lo Stato ebraico a prendere tutte le misure a sua disposizione per “evitare la commissione di un genocidio” a Gaza, ma senza chiedere un cessate il fuoco.
L’esecutivo belga ha ricordato – in una nota condivisa su X il premier Alexander De Croo – “l’obbligo di rispettare le ordinanze” adottate dai tribunali internazionali.
Nella sua reazione alla decisione, il governo del Belgio, che e’ presidente di turno del Consiglio Ue e uno dei paesi europei che più ha sostenuto il cessate il fuoco a Gaza, insieme alla Spagna, ha chiesto la fine immediata delle ostilita’ nella Strisci, il rispetto del diritto internazionale umanitario e liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas negli attentati del 7 ottobre.
L’esecutivo di Bruxelles ha inoltre invitato tutte le parti a “lavorare per una soluzione a due Stati” che consenta la coesistenza di Israele e Palestina nella regione.

Cosa succede dopo la sentenza

C’è ora da capire quali saranno le possibile conseguenze concrete sulla vita dei civili nella Striscia di Gaza. Le decisioni della Corte internazionale di Giustizia sono giuridicamente vincolanti e non esiste possibilità di appello. Allo stesso tempo, e qui risiede la contraddizione, la Corte non ha i mezzi e gli strumenti per imporre concretamente le misure decretate. L’applicazione di queste ultime è delegata alla comunità internazionale.

Una situazione che rimette tutto nelle mani del governo guidato da Netanyahu. Non essendoci possibilità di appello sta allo Stato ebraico decidere se rispettare le decisioni della Corte. Nel caso non si attenga alla sentenza uno Stato membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu può sollevare il caso. In base a tale procedura spetterà poi al Palazzo di Vetro votare e decidere se intervenire, affinché Israele applichi effettivamente la decisione della Corte.

Il timore, in questo caso, è che gli Stati Uniti utilizzino il diritto di veto presso il Consiglio per bloccare azioni contro Israele. Uno strumento che gli Usa hanno ripetutamente utilizzato in passato per bloccare sanzioni nei confronti di Israele. Sarebbe però la prima volta in assoluto che Washington utilizza il proprio diritto di veto contro una decisione precedentemente presa dalla Corte internazionale di Giustizia. Se questa circostanza si realizzasse l’amministrazione americana rischierebbe di finire al centro di roventi polemiche.

Se, al contrario, il Consiglio di Sicurezza dovesse decidere di intervenire per imporre l’applicazione concreta delle misure decise, potrebbero scattare sanzioni economiche e commerciali, ma anche un eventuale embargo alla vendita di armi. La Carta delle Nazioni Unite riconosce inoltre al Consiglio di Sicurezza il potere di intervenire con la forza. Un precedente è fornito dal caso del 1991, quando una coalizione a guida americana fu formata per respingere l’invasione del Kuwait da parte delle truppe irachene di Saddam Hussein.

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