L’ora era tarda. Passata la mezzanotte a Piazza Pulita è andato in onda un servizio sugli sprechi della sanità calabrese (lo potete vedere qui) Solite scene di ordinaria follia. A far da Virgilio Carlo Guccione, responsabile del Pd della sanità, che da tempo tiene il punto sulla questione. Ho rivisto una Rsa di Cosenza che avevo raccontato anni fa come magnifica incompiuta. È costata oltre due milioni e non è mai entrata in funzione da tre lustri. All’Asp non ne conoscono l’esistenza. Sono 21 le strutture costruite e mai inaugurate per cui abbiamo speso 14 milioni di euro. Eppure, l’Asp di Cosenza ha immobili in fitto per 800000 mila euro l’anno. Le telecamere poi si sono spostate alla Centrale del 118 e al Centro di neuropsichiatria di Serra Spiga. Locali non a norma e fitto ogni anno di 459000 euro. Si va all’Asp. L’avvocato dell’ufficio legale si autoassegna la patente di stupido, il manager balbetta il nulla. Cambio scena. Si va al centro storico di Tropea. Ristorante di buon lignaggio. Il locale è di proprietà dell’Asp vibonese. I proprietari pagano 7000 euro l’anno. Si scopre che il contratto è scaduto. In studio assiste al servizio il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. C’è anche Chiara Appendino, ex sindaco 5 Stelle di Torino (“Guardate che sono gli stessi problemi del Nord”. Voto 8 per onestà intellettuale). Occhiuto, giustamente, ricorda che 12 anni di commissariamento hanno aggravato debiti e peggiorato servizi. Il presidente ricorda il commissario graduato che non sapeva nulla di piano pandemico e annuncia che farà sospendere il contratto di buon fitto al ristoratore tropeano. È convinto nel suo ruolo di Commissario di poter raddrizzare la situazione. In Calabria dovremmo tornare a farci sentire come ai tempi del Covid.
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Si passa a parlare di autonomia differenziata. Dibattito complesso, è ancora agli inizi. Si è fatto notare l’arcivescovo di Cosenza, Gianni Checchinato che su X ha scritto: “Ma i cristiani presenti e votanti in Senato hanno dimenticato la Scrittura, i Padri della Chiesa? Stanno dalla parte dei ricchi in maniera pregiudiziale?”. Saranno fischiate le orecchie al senatore di Forza Italia, Mario Occhiuto, cattolico praticante di famiglia di fede francescana che è intervenuto nel dibattito a Palazzo Madama argomentando che l’Italia non si spacca e difendendo i suoi emendamenti utili alle clausole di salvaguardia. Si vedrà. Il fratello, Roberto Occhiuto – sempre a Piazza Pulita – «Sono leale nei confronti del mio partito ma non ho un obbligo di fedeltà perché governo una regione e il primo obbligo ce l’ho nei confronti dei cittadini calabresi». Per il momento voto “dieci” al vescovo Checchinato. Domani alle 17 radunerà i cittadini per condurli fino al Duomo e poi concluderà una discussione su Intelligenza artificiale e pace. Una bella intelligenza quella del monsignore. Merita proprio dieci.
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Quando è morto Gigi Riva l’altro giorno con riflesso pavloviano il mio pensiero è andato alla poesia di Garcia Lorca, il lamento per Ignacio, citato da Gianni Brera il 3 febbraio del 1976 sul Giornale di Montanelli dopo l’incidente di gioco che spezzava definitivamente la carriera del più grande attaccante italiano di tutti. Brera era colui, come testimoniava in quell’articolo, per il quale aveva coniato quel potente “Rombo di tuono io dissi un giorno con quasi incredibile entusiasmo”. Gianfrancesco Turano, origini reggine, firma dell’Espresso in un suo tombau ha scritto: “Uomo e sportivo a retorica zero, è stato sommerso dalla retorica per tutta la vita, a partire da quel soprannome orribile Rombo di tuono, affibbiatogli da Gianni Brera per una forma di confusione tra amerindi, sardi e altre popolazioni selvatiche”. Orbene, io apprezzo i giornalisti che vanno in direzione ostinata e contraria (De André aveva regalato una chitarra a Riva) e a Gianfrancesco assegno voto “otto” per questo, ma essendo un senza Brera e un senza Mura (origini sarde) difendo i miei penati di scrittura come testimonia questa rubrica.
Da boomer cosentino sono legato al culto e al mito di Gigi Riva. Una generazione che prendendo per mano i genitori si ritrovò sotto un diluvio universale ad assistere all’inaugurazione dello stadio San Vito per assistere alle qualificazioni dell’Europeo per la partita Italia-Cipro. Per tanti fu la prima volta allo stadio. Avevamo assiepato in massa l’hotel Jolly dove sbarcò la squadra dal bus e vedemmo le nostre figurine in carne e ossa muoversi verso di noi. Ognuno di quei bambini e ragazzi ha un ricordo di quelle ore. Giorgio Ardito, impiegato comunale in pensione, giura che Gigi Riva fece l’occhiolino al ragazzino della Piazza Piccola. Invece Sergio Barletta, da tempo emigrato a Busto Arsizio, ricorda di aver inseguito proprio Riva e Domenghini fino al tabacchino di corso Telesio dove erano andati a comprare le loro proibite e amate sigarette. Tra due ali di folla ci spostammo a Palazzo dei Bruzi dove acclamammo alle transenne Rivera, De Sisti, Albertosi, Zoff e il nostro amato concittadino Franco Rizzo che Valcareggi non volle far scendere in campo per l’ovazione della sua gente. La notte precedente al primo novembre del 1967, avevamo dormito poco noi boomers, ragazzini cosentini del Boom economico che compravamo giocattoli e vestiti alla Standa e da Bertucci. Non eravamo mai stati al vecchio Emilio Morrone e per noi la meta era il San Vito. Pippo Gatto, oggi giornalista sportivo e un passato da mago informatico e da indiano metropolitano, aveva dieci anni, e fu affidato dal papà a un cameriere del suo celebre bar di corso Mazzini, per essere condotto a vedere la Nazionale di Valcareggi. Ha raccontato di aver dovuto far spesso la pipì tra i gradoni perché il suo accompagnatore non poteva perdere neanche un minuto di quella partita. Io di anni ne avevo 5, e allo stadio mi aveva portato mia madre, rara donna di quella giornata dedicata ad Eupalla. Mamma, che aveva pianto la tragedia del grande Torino, mi aveva trasmesso la memoria per Sandro Mazzola, il figlio di Valentino, e poi c’era la sua passione estetica per Gigi Riva, bello come un Dio greco sceso in terra.
Intruppato nella tribuna B, io che le rare partite le avevo viste solo in tv, rimasi accecato dal verde del terreno e dall’azzurro delle nostre maglie. Un trombettiere napoletano suonava la carica quando toccava palla Totonno Juliano. Il diluvio era incessante ma il ricordo si fissò sulla doppietta apripista di Mazzola. Gigi Riva all’epoca era un grande promessa. Un altro incidente in Nazionale lo aveva azzoppato. Ma al San Vito di Cosenza si sbloccò. Il primo gol azzurro del più grande attaccante azzurro di tutti i tempi. Ne seguirono altri due per la tripletta da consegnare agli annali. Un patto generazionale cosentino iconico e memoriale si legò al grande campione. Restammo svegli alla televisione anche la notte della partita del secolo messicana contro la Germania e quando il nostro Riva alzò le braccia al cielo ci sentimmo i suoi figli adottati, nipoti dei banditi e dei pastori sardi che ne fecero a vita il loro totem di riferimento. Riva come Ulisse viene ricordato dove poggiò il suo sinistro. Il ricordo dei tifosi della Reggina è legato al 22 settembre 1968 a Cagliari, al vecchio stadio in coppa Italia Gigi la pareggia. Sergio Ragone per Catanzaro ha rievocato tre partite al Militare di Rombo di Tuono, con un rigore segnato in Coppa Italia. Una volta tanto alla nostra Cosenza la memoria mitologica è andata decisamente meglio delle consorelle. Il bravo poeta calabrese di Cuti, Daniel Cundari, su Fb ha salutato il campione con questi versi: «La vita è un lampo-scagliato contro il mare-dura quanto un’onda-è fragile come una spuma-rombo di tuono precipita-brucia e si spegne sulla riva» ricevendo 3500 like. Perché Gigi Riva è un eroe e quindi merita di essere salutato con le parole di Giuanbrerafucarlo: «Io vorrei che degli eroi autentici non si guastasse il ricordo. L’uomo Riva è un serio esempio per tutti. Il giocatore chiamato Rombo di tuono è stato rapito in cielo come tocca agli eroi. Ne può solo discendere per prodigio: purtroppo la giovinezza, che ai prodigi dispone e prepara, ahi giovinezza è spenta». (redazione@corrierecal.it)
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