COSENZA «Ritorniamo insieme nei Palazzi di Giustizia ed usciamo dai bunker». È l’appello lanciato dal presidente Roberto Le Pera ed il segretario Gabriele Posteraro a nome del direttivo della Camera penale di Cosenza che rivolgono al ministro della Giustizia e al presidente della Corte d’Appello di Catanzaro.
In una lettera inviata dai vertici degli avvocati bruzi per conoscenza anche ai presidenti del Tribunale di Cosenza e a quello della sezione penale, sottolineano che la «Calabria giudiziaria non ce la fa più».
«Migliaia di indagati e imputati – scrivono – vittime di una eccentrica idea di connessione in quei cosiddetti maxiprocessi in cui ristagnano i diritti di esseri umani. Procedimenti a cui sono attribuite denominazioni offensive della Costituzione e dello Stato di diritto, lesive del principio fondamentale su cui lo stesso fonda: la presunzione di non colpevolezza».
«Presunti innocenti – dicono ancora – che sono catturati, incarcerati e comunque privati della libertà in forza di provvedimenti restrittivi successivamente, troppo spesso, definiti ingiusti da sentenze di assoluzione, in numero talmente abnorme da determinare la metà dei risarcimenti nazionali (su circa 27 milioni di euro erogati a titolo di riparazione per ingiusta detenzione da tutte le Corti di appello italiane nel 2022, la metà, quasi, ossia 11,5 milioni provengono dai distretti di Catanzaro e Reggio Calabria)».
Poi entrano nel dettaglio citando il caso del processo denominato “Reset”.
«Il Consiglio superiore della magistratura – scrivono – nonostante il logico e inevitabile affanno provocato da questo processo 3804/17 alla gestione degli affari penali della intera circoscrizione giudiziaria di Cosenza, dei trentuno magistrati assegnati alla Calabria, ne ha “concesso” soltanto uno al Tribunale di Cosenza, peraltro con funzioni diverse da quelle giudicanti. Uno strano scherzo del destino il fatto che il processo 3804/17 lo abbiano denominato “Reset”: al momento, l’unica ad essere “resettata” è l’amministrazione della giustizia nel Tribunale di Cosenza». E a questo proposito elencano quelli che sarebbero i limiti contestati.
«Presidente e due giudici della sezione penale (a cui va riconosciuto immane sforzo giudiziario e organizzativo) – sottolineano – sono e saranno quasi esclusivamente dedicati, per i prossimi anni, a trattare, unitamente a centinaia di difensori, gran parte del Foro cosentino, un processo che prevede l’assunzione di migliaia di prove orali, tutto questo in un luogo diverso dal Palazzo di giustizia di Cosenza». Ed ancora, «v’è l’impossibilità, per gli stessi difensori, di organizzare concomitanti, diverse attività difensive innanzi ad altri giudici del Tribunale di Cosenza, con la inevitabile necessità di formulare istanze volte al rinvio di ogni altro processo».
Inoltre per gli avvocati cosentini, «sussiste una impasse dell’attività giudiziaria, stante l’inevitabile carenza di organico nella magistratura giudicante, certamente non risolvibile con la – seppure apprezzabile – provvisoria applicazione, alla sezione penale, di un giudice della sezione civile».
«Il rischio (già in parte realtà) – paventano i rappresentanti della Camera penale bruzia – è la paralisi dell’attività giudiziaria, non solo della sezione penale del Tribunale di Cosenza, ma della circoscrizione giudiziaria tutta, con l’azzeramento del diritto di imputati e parti offese ad ottenere una risposta di giustizia in tempi ragionevoli. E ciò, nonostante, l’immane sforzo da parte di tutti: giudici, personale di cancelleria e, consentitecelo, anche delle nostre toghe. In disparte le considerazioni sul vero responsabile di questo sfacelo giudiziario, l’eccentrica interpretazione dell’istituto della connessione dei procedimenti, qui c’è altro che non va».
«Parliamoci, ancora una volta, chiaramente – affermano – : non possiamo abbandonarci alla contingenza, restare sudditi di questa perenne tirannia dell’emergenza. Ma è ancora emergenza? Senza uomini né mezzi. Dobbiamo reagire uniti, Magistratura e Avvocatura, in una battaglia democratica per il riconoscimento dei diritti che non posso essere più violati».
«Ma – denunciano ancora – riteniamo vi sia un’altra importante vittima di questo maxiprocesso: il processo stesso. Il processo 3804/17 non doveva e non deve essere sottratto dal suo luogo di naturale celebrazione, il Palazzo di giustizia di Cosenza. Il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, con la nota riservata n° 215 del 9 gennaio 2024, ha descritto circostanze incompatibili con le ragioni di sicurezza sottese alla scelta del Bunker fuori città».
«L’Ufficio di Procura generale – scrivono ancora nella lettera – ha chiarito che «l’accesso all’aula bunker avviene come in un normale Palazzo di giustizia ossia «attraverso un’unica porta, trattasi di porta antipanico di grandi dimensioni, al cui interno vi sono, da sempre, tre postazioni di controllo: una dedicata esclusivamente ai Sigg.ri Avvocati, una dedicata ai Sigg.ri Imputati e una dedicata al Pubblico, con tre guardie preposte, una ciascuna per posizione». «Ad oggi – spiegano – precisa il Procuratore generale in merito al regolare afflusso o deflusso dall’aula bunker, non risulta segnalata, dai preposti o dalle Forze dell’Ordine, nessuna anomalia di sorta, né ritardi o file determinate dalle dette attività di verifica”, con la seguente importante precisazione, in termini di differenza del processo in corso con altro precedente, per il quale era stata allestita detta aula bunker: “del resto anche in occasione del concluso procedimento Rinascita Scott, con numero doppio di imputati rispetto al procedimento Reset, non vi sono state problematiche per l’accesso”».
«Ed è sempre il Procuratore generale – proseguono – a fornire la circostanza che esclude la sussistenza di eccezionali ragioni del processo in corso rispetto ai processi “ordinari”: “…da una verifica effettuata, è emerso che hanno avuto accesso alla predetta aula 56 avvocati, 3 giornalisti, 7 imputati e una sola persona del pubblico; tale media appare costante anche verificando le precedenti udienze”, con la ulteriore e definitiva precisazione secondo cui in tale processo vi è la “sostanziale inesistenza di pubblico, 1 persona di media”».
Ed ancora: «la convenzione sottoscritta dal Ministero della Giustizia ha riguardato, testualmente, “gli interventi relativi alla realizzazione di una aula bunker temporanea … idonea”, sempre testualmente, “alla celebrazione del processo denominato Rinascita Scott”».
«Signor Presidente della Corte di Appello di Catanzaro – lanciano l’appello – ritorniamo insieme nei Palazzi di giustizia e usciamo dai bunker. Siamo consapevoli che il ritorno nel Palazzo di giustizia di Cosenza riguarda prerogative ministeriali d’intesa con la magistratura, volte ad assicurare, in caso di mutamento della sede, la regolare celebrazione delle udienze. Ma … come è stata edificata, in pochi mesi, l’aula bunker di Lamezia Terme, parimenti potranno essere certamente adeguati gli spazi esistenti nel Palazzo di giustizia di Cosenza».
«Nell’attesa, Signor Ministro della giustizia – si rivolgono poi al capo del dicastero – è dovere della Repubblica italiana,è obbligo di uno Stato veramente di diritto, non abbandonare la giustizia nel Tribunale di Cosenza. Dottor Nordio, occorrono giudici nel nostro Tribunale»
«Signori Ministro della giustizia e Presidente della Corte di Appello di Catanzaro – concludono – la Camera penale di Cosenza, in ossequio alle finalità impresse nel proprio Statuto, intraprenderà ogni iniziativa, tra quelle previste dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato, per garantire l’effettività di un processo veramente giusto. Signori Ministro della giustizia e Presidente della Corte di Appello di Catanzaro, iniziamo questo nostro percorso per l’effettività di una giustizia giusta e per questa ragione vi chiediamo di essere ricevuti in una delle tre giornate di astensione recentemente indette dall’Unione delle Camere penali italiane, 7, 8 o 9 febbraio 2024».
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