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IL RICORDO

Addio ad Anna Gastel: «La Calabria che amo»

Anna Gastel, lombarda doc (è nata a Milano nel 1953), storica dell’arte e prima donna battitrice d’asta da Christie’s, presidente, su delega dei sindaci di Milano e Torino, di  MiTo, il maggi…

Pubblicato il: 29/01/2024 – 9:44
di Romano Pitaro
Addio ad Anna Gastel: «La Calabria che amo»

Anna Gastel, lombarda doc (è nata a Milano nel 1953), storica dell’arte e prima donna battitrice d’asta da Christie’s, presidente, su delega dei sindaci di Milano e Torino, di  MiTo, il maggiore Festival di musica classica italiana dal prestigio internazionale, è morta nella sua città. Per ricordarne la straordinaria dimensione umanitaria, la passione smisurata per cultura e natura e soprattutto il suo attaccamento alla Calabria, ripropongo stralci di un articolo-intervista scritto quando lei trascorreva molte giornate fra la bella villa antica di Sant’Andrea sullo Ionio e le lunghe, estenuanti, camminate nella magna Sila, in Aspromonte e nei boschi delle Serre. Diceva: “Il mio rapporto con la Calabria è di grande amore. D’inverno è bellissima. Le realtà montane sono straordinarie. E l’autunno, con i suoi caldi colori, le castagne, i cinghiali, il maiale. La Calabria è ricca di tradizioni, penso a quei meravigliosi documentari di Vittorio De Seta che raccontano poeticamente le tradizioni di una Calabria antica, nobilmente contadina, tanto quanto Olmi racconta la sua Brianza. Andrebbe riscoperto De Seta, autore di documentari bellissimi su un ‘mondo’ che non abbiamo saputo capire e conservare. Quale perdita!”.
 Anna Gastel rientrava a pieno titolo nell’inner circle della cultura italiana: “Credo nella assoluta importanza della cultura e penso che la bellezza generi rispetto e aiuti a vivere meglio. Io tengo molto alla Calabria, alla sua gente e alle sue grandi potenzialità purtroppo inespresse”.Donna colta e dall’eloquio fluente, si è laureata nel 1977  in lettere e filosofia a indirizzo artistico alla “Cattolica” (110 e lode con una  tesi  su “La musica una costante nella vita di Luchino Visconti uomo ed artista”)  e ha compiuto a Londra gli studi d’arte. Su richiesta dell’allora presidente Giulia Maria Crespi, si è impegnata nel “Fai” di cui è stata vicepresidente fino al 2015, portando gli iscritti lombardi da 13 a 38mila.Suo fratello, Giovanni, è stato  uno dei più affermati fotografi di moda italiani. Nipote di Luchino Visconti, il regista del Gattopardo, da cui ha ereditato la passione per il bello e per la musica, a vent’anni ha avuto una parte del film ‘L’Innocente’.
Viveva  tra Villa Erba (Cernobbio) e Milano, ma ha viaggiato tantissimo, soprattutto in estremo oriente e in Giappone, occupandosi per anni di decorazione e disegni per tessuti. D’estate quasi sempre in vacanza a Sant’Andrea sullo Ionio, ma non di rado arrivava in Calabria nelle altre stagioni per fare trekking assieme al botanico Carmine Lupia, lo scopritore delle  “Valli Cupe”. La Calabria le era entrata nel sangue: “E’ una terra meravigliosa perché ricca di tutto: entroterra, mare, montagna, bellezze architettoniche, sapori buoni come in nessun altro posto. E le case contadine sono le più belle del mondo. Ma realtà politiche, corruzione e indifferenza dei cittadini ne inibiscono sviluppo e valorizzazione”.
Com’è l’Italia vista  dal tuo osservatorio privilegiato? “E’ un Paese gravato da decine di problemi ma è molto più interessante di quanto non appaia. Milano poi,  pur essendo stata sempre il motore dell’innovazione, oggi è diventata una città effervescente, attraente, piena di iniziative. Sono sicura che sarà, com’è accaduto spesso nella storia, la mia città ad offrire al Paese modelli di riscatto non solo culturale, ma anche economici e sociali”. E il Sud e la Calabria che frequenti da ormai tanti anni? “Purtroppo, dal ’75 a oggi sono cambiati in peggio: gli scempi, soprattutto al Sud, sono stati fatti dagli anni ’70 fino agli anni ’90, dando fondo a una cementificazione priva di programmazione urbanistica e di un’architettura di qualità. Questo ha reso le coste malagevoli, creando anche problemi idrogeologici. Si è costruito nelle fiumare, alle pendici dei vulcani, in posti dove non si sarebbe dovuto costruire; spesso senza fogne, senza infrastrutture e senza i servizi di base essenziali a questi edifici, a loro volta costruiti con un disegno architettonico che la dice lunga sulla trascuratezza di quello che si è pensato di fare”.
Come affrancare dal brutto la bellezza e ridarle splendore e vigore? “Bisognerebbe iniziare con  lo spiegare ai bambini il rispetto dell’ambiente e la qualità con cui si dovrebbe costruire. Un paesaggio rovinato è perduto per sempre. Certo, si possono abbattere gli ecomostri, ma tutto ciò che sta intorno a un bene archeologico o culturale è altrettanto importante e va tutelata. Bisogna stare attenti, quando si costruisce vicino a bellezze naturali o artistiche, perché per ricostruire quel paesaggio ci vogliono gli anni della natura. Non è come restaurare una casa, è un problema di tempo, di qualità, di essenze. Facile distruggere, difficile ricostruire in modo armonico e naturale. Giustamente, com’è stato detto, l’Italia è un ‘museo diffuso, unico al mondo e a cielo aperto’. L’Italia non è Roma, Firenze, Napoli, Palermo, Venezia, non è il ‘piccolo Gran Tour’. Gli italiani prediligono realtà piccole e decentrate, lontane dai centri più grandi. Si rendono conto che, essendo meno globalizzate, hanno radici più vere e le vogliono tutelare. È quello che sta succedendo in tutto il mondo”. In Calabria, secondo te, perché “piccolo non è bello” come avviene in altre realtà? “La realtà calabrese è molto forte, distrutta in tante parti ma ancora vitale. La Calabria autentica esiste ancora e va ricercata e difesa. Chi viene qui, come me, da milanese, non vuole la pescanoce che può trovare anche a Milano, ma cerca la merendella dal profumo unico che si trova solo qui. Sono piccolissimi esempi di ciò che ancora vive e brucia in Calabria. Bisogna cercare il ‘locale’, non globalizzarsi. Questo è il turismo da incentivare. Ritrovare sapori e frutti antichi, intagli di legno autentici, i cesti, l’artigianato locale, non quello orientale che trovi ovunque”.
La Calabria ha bellezze straordinarie, ma ha difficoltà a valorizzarle. Che ne pensi?” E’ una regione  molto difficile in cui vivere, piena di contraddizioni. La difficoltà a valorizzare le sue bellezze deriva, tra l’altro, dalla mancanza di infrastrutture di qualità. Pensare di realizzare una normale casa moderna, rifacendo tutto e mettendo in luce solo lacerti di muro antico, perché sembra che quel pezzettino risparmiato possa testimoniare l’antichità di un manufatto, è un metodo di restauro pittorescamente passato di moda. Devi saper conservare la patina della casa antica, mantenerla intatta e restaurarne solo i servizi, che devono essere funzionali e accessibili: sarà così elegante nella sua semplicità e originalità. L’eleganza è nel togliere, non nel mettere, come ci insegnano Michelangelo o i designer nordici”.
Alcuni però ritengono che questa semplicità sia un difetto… “A volte penso che si vergognino un po’ delle loro origini,  ma le loro sono radici nobili. Il mondo contadino è di una saggezza meravigliosa, come dice Olmi. E’ come il mondo degli indiani d’America: sa vivere in armonia con la natura. È un mondo che niente spreca e niente rovina, che fa le case con la pietra e l’argilla del posto, case che non vedi da lontano, non hanno colori psichedelici, finti, ma si mimetizzano, si fondono con il paesaggio circostante, non vogliono esibirsi, mostrarsi. Le case contadine sono armoniche e funzionali. Sta lì la vera eleganza. Il problema è forse di certa borghesia che invece rifiuta le sue origini e vuole mostrarsi per ciò che non è: una classe superiore. Ma la raffinatezza del sentire si raggiunge solo con la cultura e la profondità dell’essere, non dell’apparire”.Si avverte un processo di omologazione che spesso  scade nell’anonimato. Sei d’accordo?“Peggio, nel cattivo gusto. Kitsch è voler apparire qualcosa che non si è e che non si può conquistare solo col denaro o il successo. Cultura è conoscere, comprendere per divenire migliori. I veri calabresi sono invece quelli che riscoprono la propria terra, che ne sono orgogliosi, che vorrebbero che mostrasse un’altra immagine di sé, come le radici che partono da lontano, dalla Magna Graecia. Non deve però essere necessariamente solo un retaggio, qui non ci sono solo i Bronzi di Riace: la soluzione è rinnovarsi, creare. La Calabria deve ritrovare la sua anima: il Sud che riconosce la propria essenza è invincibile. Dobbiamo dunque cercarla, senza tentare di costruire una Costa Azzurra che esiste già”.
Cosa manca in Calabria dal tuo punto di vista? “Mancano sindaci intraprendenti e illuminati che abbiano l’idea di promuovere questo tipo di cultura. E manca una comunicazione ad alto livello, bilingue, trilingue, sui social network. Con il web tutto è possibile. Tutto il mondo è collegato, basta realizzare siti ad hoc in rete: verrebbero dall’Europa, dall’America. Paesaggi immacolati, cibo locale, artigianato: quante realtà in questi piccoli paesi si potrebbero attivare senza costruire, senza consumo di suolo, ma restaurando ciò che di bello e valido ancora esiste nei centri storici. Con la competenza di architetti intelligenti e di buon gusto, si potrebbero recuperare vecchi abitati contadini o antiche case patrizie, senza alterarne lo charme. Costerebbe un filo di più, ma attirerebbe un pubblico più raffinato e pronto a spendere”.

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