Leonardo Sciascia che ben capiva la mafia, ma non amava esser definito mafiologo, nell’affrontare il tema, spesso attingeva, per dispensare certezze, alla relazione del Procuratore generale don Pietro Ulloa in servizio a Trapani che nel 1838 segnala al Re delle Due Sicilie e a futura memoria alcuni punti fondativi dell’organizzazione in cosche.
Io che ho sempre cercato di capire la realtà della Calabria, non avendo mai avuto una relazione così antica omologa a quella del procuratore Ulloa, ho sempre guardato con attenzione alle relazioni dell’anno giudiziario che si tengono a scadenza fissa nei tribunali di Reggio Calabria e Catanzaro che ne contengono i distretti. Conosco un libro pubblicato dalla casa editrice di Franco Alimena nel 1995 in cui il ricercatore Luigi Costanzo analizza i discorsi d’inaugurazione degli anni giudiziari attraverso i discorsi tenuti dai Procuratore Generali della Corte d’Appello di Catanzaro tra il 1954 e il 1959. La prefazione è affidata a Giovanni Galloni, politico e vicepresidente del Csm, che ravvisa come su alcune questioni, quelle più di crisi “i Procuratori generali o sorvolano o evitano di impegnarsi”.
Premessa lunga per analizzare e verificare alcune delle frasi annotate a margine delle inaugurazioni giudiziarie di sabato scorso tra Reggio Calabria e Catanzaro.
Mi hanno molto colpito le dichiarazioni rilasciate al nostro Corriere dal consigliere del Csm, Antonino Laganà, toga calabrese illustre che ha voluto dare atto che «i magistrati del distretto e non solo, tutto il personale con la collaborazione dell’Avvocatura, stanno andando verso l’unica direzione che è quella di garantire una giustizia equilibrata». Non mi sembra proprio così, considerato che il presidente della Camera Penale di Catanzaro, Francesco Iacopino, nella stessa mattinata e in discorso ufficiale aveva parlato «dell’abnormità dei maxi-processi sempre più elefantiaci» puntando l’indice «su torsione autoritaria e conseguenze tossiche prodotte etiche da un Diritto punitivo etico».
A trovare l’innovazione ha pensato il procuratore Lucantonio che ci ha informato che a Catanzaro «sono in aumento i reati di ‘ndragheta che vedono protagonisti i minorenni», e non è proprio una bella notizia in una regione con evasione scolastica considerevole.
Da Reggio Calabria mi ha colpito l’affermazione del Procuratore generale, Gerardo Dominjanni, quando sottolinea che «occorrerà prendere atto che la politica è distante da Reggio Calabria, da Platì, da San Luca, da Rosarno, da Oppido». Non ci ha fatto caso il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, che ha ringraziato «la magistratura per il lavoro che da sempre svolge al servizio della nostra comunità, per il ripristino e il mantenimento della legalità sul territorio». Non mi pare ci sia stato contraddittorio da parte di un sindaco che è stato sospeso dalle sue funzioni per il reato di abuso di ufficio. In quella sede un commento meritava. Per la cronaca, l’anno giudiziario a Reggio Calabria si celebra dai carabinieri perché il nuovo Palazzo di Giustizia è una tela di Penelope che quest’anno vedrà riprendere i lavori pubblici e si prevede che sia tutto pronto per ospitare l’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2028.
Comunque io che sono di vecchia scuola giornalistica ho annotato sul taccuino quello che ha detto il procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri sulle «risultanze investigative, che hanno fatto emergere figure di imprenditori che, sfruttando l’appoggio di temibilissime cosche, sono riusciti ad accumulare enormi profitti, prontamente riciclati in attività industriali e commerciali in ogni parte d’Italia e del mondo». Si converrà che qualcuno ha idee chiare sul fenomeno diventato diverso dalle riflessioni di Galloni, delle relazioni degli anni Cinquanta e dalla ‘ndrangheta rurale delle origini. Sembra che per Bombardieri ci sia destino professionale altrove. Dalle relazioni abbiamo appreso che oltre la metà della pianta organica del Tribunale di Reggio Calabria è scoperta. A Catanzaro stessa solfa con aggiunto solfeggio della presidente della Corte d’Appello Reillo: «Lo diciamo da 30 anni».
Il procuratore di Vibo, Camillo Falvo, ha invece detto che «nessun magistrato vuole lavorare a Vibo, Lamezia o Crotone. Restano per tre anni, poi vanno via». Ha fatto anche una proposta il buon Falvo: «Incentivi economici per attirare colleghi esperti e punteggi aggiuntivi per far restare i nuovi». Magari qualche politico presente al discorso ne avrà preso nota per aiutare la periferica giurisdizione. (redazione@corrierecal.it)
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