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I racconti del narcos pentito: «Porto di Gioia Tauro in mano a Bruzzaniti»

Bruno Carbone: «I Mammoliti acquistavano la cocaina a Napoli e a Roma»

Pubblicato il: 01/02/2024 – 15:22
I racconti del narcos pentito: «Porto di Gioia Tauro in mano a Bruzzaniti»

NAPOLI Ha parlato anche dei suoi rapporti con la ‘ndrangheta, il narcotrafficante “pentito”, socio del broker internazionale Raffaele Imperiale e come lui collaboratore di giustizia. Carbone oggi, davanti ai giudici della settima sezione penale di Napoli (presidente Marta Di Stefano), e al sostituto procuratore Maurizio De Marco, ha risposto alle domande degli avvocati del collegio difensivo, in video collegamento (sempre ripreso di spalle) dalla località segreta dove è detenuto.
«Il porto di Gioia Tauro – ha detto il narcos specializzato nella logistica – era sotto il comando di Bruzzaniti. Io ero in rapporti con i Mammoliti (una ‘ndrina calabrese) che acquistavano la cocaina a Napoli o a Roma». Il Bruzzaniti a cui fa riferimento è Bartolo Bruzzaniti, originario di Locri, arrestato in Libano, ritenuto un soggetto di elevato spessore criminale e considerato tra i più importanti narcotrafficanti a livello internazionale.
Carbone ha anche spiegato come trasferiva il denaro per l’acquisto della cocaina «da Panama, dall’Ecuador, dalla Colombia» semplicemente «con un click, oppure con un messaggio chat, attraverso i cambisti con i quali si era instaurata enorme fiducia. Così venivano trasferiti i soldi per la droga, in qualsiasi parte del mondo, io con la mia cocaina rifornivo tutta Napoli». Carbone ha anche spiegato più nel dettaglio, il trasferimento di una tonnellata di cocaina in Australia, che ebbe dei problemi, e di essere stato lui, da Dubai, «ad aprire il mercato australiano».
L’udienza si è chiusa con una dichiarazione spontanea resa dall’imprenditore casertano Giovanni Fontana: «Quei 5-6 trasporti per me erano puliti come tutti gli altri che la mia ditta ha effettuato», «ho sempre lavorato onestamente» e «chiedo che venga valutata la mia posizione: sono da 15 mesi in carcere, datemi i domiciliari, fatemi andare a lavorare». Con la voce rotta dall’emozione e sotto processo con l’accusa di avere agevolato l’organizzazione di Imperiale, in particolare per la parte che ha riguardano trasferimento della cocaina in Italia, Fontana ha ricordato che all’inizio dello scorso gennaio erano stati concessi i domiciliari anche a un altro imputato: «Ho sempre lavorato onestamente – ha ribadito – sono sposato e padre di tre figli, mia moglie, che da poco ha perso la madre, fatica sempre di più per venirmi a trovare». (Ansa)

(Nella foto: un sequestro di cocaina nel porto di Gioia lo scorso mese di maggio)

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