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«Anche chi viene dal Mezzogiorno come me, qui si sente italiano e non meridionale»

Raul Gagliardi, musicista jazz cosentino, è a Londra da dieci anni: «Mi mancano le passeggiate e l’umorismo bruzio»

Pubblicato il: 04/02/2024 – 10:01
di Eugenio Furia
«Anche chi viene dal Mezzogiorno come me, qui si sente italiano e non meridionale»

Si presenta così: «Sono Raul Gagliardi e da 32 anni suono e studio la chitarra. Da autodidatta prima all’età di 14 anni, e da studente del corso di musica jazz al Conservatorio di Cosenza poi. Nel frattempo, ho studiato con i migliori insegnanti, non solo della mia città ma anche a livello nazionale, partecipando a diversi seminari a Cosenza ed in giro per l’Italia. Il mio interesse principale è da sempre stato l’improvvisazione per cui mi sono sempre definito un musicista jazz, dove per jazz intendo quel tipo di musica che prevede sempre dello spazio dedicato all’improvvisazione».

• CHI È Raul Gagliardi
Nel 2014 si è trasferito a Londra dove ha iniziato a frequentare le jam session della capitale britannica per conoscere musicisti e per inserirsi nel tessuto musicale londinese. Da qui ha iniziato a fare parte della resident band di alcune di queste jam session, cosa che fa tuttora. Ha creato diverse formazioni a suo nome e suonato in diversi club della capitale e del Regno Unito. In particolare nel “Raul Gagliardi trio” ha riproposto brani da lui composti, hit internazionali rivisitate e brani della tradizione jazzistica. Parallelamente ai suoi progetti da solista, suona spesso come accompagnatore di cantanti e come solista in formazioni di jazz strumentale suonando con musicisti provenienti da tutto il mondo. Molto attivo come didatta, cosa che faceva in maniera proficua anche in Calabria, ha unito al suo background italiano (soprattutto dal punto di vista empatico) la struttura dell’insegnamento che si pratica nel Regno Unito. «Le formazioni musicali alle quali ho dato vita e partecipato come leader o co-leader, i due progetti più importanti e significativi, sono stati i “Vinagre” e gli “Amanita” – dice –. In entrambi i casi erano progetti il cui obiettivo artistico era fondere la musica mediterranea con l’improvvisazione jazzistica. Con queste formazioni abbiamo prodotto tre album: “Vinagre” (Vinagre), “Gente a Sud” e “Calandra” (Amanita). Ho scritto anche musiche per spettacoli teatrali e suonato come chitarrista accompagnatore».

Raul Gagliardi durante un concerto a Londra, dove vive dal 2014

Quando e perché ha lasciato la Calabria?
«Mi sono trasferito a Londra 10 anni fa  perché la mia compagna di vita ha conseguito un master in una prestigiosa università londinese. Volendo vivere insieme, ho preferito raggiungere lei a Londra, così che lei potesse spendere la sua laurea in un contesto più favorevole. Speravo comunque che in un lasso di tempo ragionevole sarei riuscito ad inserirmi nel contesto musicale londinese».

Rimpiange o le manca qualcosa?
«Quello che mi manca sono cose che potrebbero apparire scontate, ma di cui poi, vivendo fuori, apprezzi di più il valore. La famiglia sicuramente mi è mancata, così come gli amici. L’umorismo che io definisco “bruzio”, ed il nostro modo unico di raccontare fatti e storie. L’immediatezza e le sfumature uniche della lingua natia. La “passeggiata”, grande rituale della cultura italiana, inteso come attività fisica, momento sociale e spazio per lo scambio di opinioni. La possibilità di prendere la macchina ed andare al mare una mattina. Il cibo. La sezione ritmica degli Amanita: Carlo e Maurizio».

Cosa salva della Calabria?
«Credo di avere risposto sopra: quello che ‘salvo’ è anche quello che mi manca. Aggiungerei forse la voglia e la possibilità di stare all’aperto, il desiderio di comunicare e di accogliere chi viene da lontano. Il problema è, pensandoci, che tutto quello che reputo positivo della nostra cultura è anche quello che poi porta al malfunzionamento delle cose se portato a degli estremi. Credo che tutto sia da salvare se nella giusta misura e soprattutto purché non venga usato con i fini sbagliati».

Cosa non le piace del posto dove vive adesso?
«Sicuramente uno stereotipo britannico: il meteo. C’è da dire che col passare del tempo alcuni aspetti del meteo li inizi anche ad apprezzare come ad esempio il cielo grigio. Una cosa che mi annoia è lo “small talk” ovvero quei dialoghi vaghi in cui riesci a tenere una conversazione senza mai fare domande personali o parlare di sé stessi. I britannici potrebbero parlare per ore senza mai entrare nella loro o la tua sfera personale. I calabresi sono l’opposto: sono molto aperti ed a volte si aspettano questa apertura anche dagli altri, risultando invadenti. Il problema è quando questo succede in contesti professionali».

Com’è strutturata la comunità dei calabresi nel luogo in cui vive?
«Non saprei perché non sono a conoscenza di una comunità di calabresi a Londra. Frequento italiani ed anche calabresi, ma non nelle modalità in cui possiamo immaginare gli immigrati in Usa o Germania per intenderci. Noi siamo venuti a vivere in UK nel contesto UE e non come l’emigrazione storica italiana, quindi avevamo la libertà di muoverci a prescindere dall’appoggio di una comunità».

Qual è secondo lei la forza dei calabresi fuori dall’Italia?
«Ho conosciuto molti italiani nella mia esperienza di “emigrazione” che ribadisco essere stata non traumatica. Li ho visti in molti settori, dalla ristorazione alle università, nelle più diverse attività imprenditoriali e appartenenti alle più diverse professioni. Nella maggior parte dei casi in Italia non c’era posto per loro o sono andati in UK per guadagnare meglio. I più giovani volevano un cambio di vita e di prospettiva lavorativa (in alcuni casi anche prospettiva culturale). La forza di chi lascia il proprio paese è che nel nuovo paese, soprattutto nel periodo iniziale, scopre o riscopre una grande voglia di fare, unita alla voglia di imparare. In poche parole rivivi un periodo di forte entusiasmo ed energia che gli autoctoni non hanno. Chi si deve adattare in un nuovo contesto lo fa con coraggio ed istinto di sopravvivenza, da qui deriva una forza aggiuntiva a quelle che sono poi le qualità individuali. La stessa cosa succede per gli immigrati in Italia».

Ci sono, al contrario, degli stereotipi che ci inchiodano a luoghi comuni non più attuali o comunque folkloristici e frutto del pregiudizio?
«La cosa divertente per chi viene dal Sud è che dopo essersi sentito per una vita intera meridionale in Italia all’estero vieni considerato italiano. In pochi hanno una reale idea della divisione fra sud e nord (anche se ne sono a conoscenza), comunque i britannici a differenza degli italiani tendono a non essere mai offensivi o ad esprimere giudizi diretti. I pregiudizi che ci sono come la presenza della criminalità e la corruzione della politica e della burocrazia sono attuali e fortunatamente non immaginano che impatto questi aspetti abbiano sulla vita quotidiana dei calabresi».

Tornerà in Calabria?
«Quando non mi sentirò più in grado di reggere la vita della metropoli mi piacerebbe ritornare in Calabria, magari in un paese di mare oppure a Cosenza per giocare a tressette alla Villa Nuova».

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