REGGIO CALABRIA C’è attenzione al “Made in Calabria” ed i dati indicano che questo interesse sta crescendo. Quasi a disegnare un trend positivo delle esportazioni delle produzioni calabresi che si è avviato subito dopo lo sblocco delle attività e dunque anche del transito merci su scala mondiale che è seguito ai lunghi mesi di chiusura dettata dall’emergenza pandemica.
Se da un verso questo dato si può legare all’effetto “rimbalzo” che ha interessato non solo l’economia calabrese – dopo la riapertura totale delle attività produttive – c’è da registrare comunque, un incremento delle esportazioni al di sopra della media pre-pandemia.
Segnale di una certa attenzione che i mercati internazionali stanno riservando alle produzioni calabresi.
Un segnale positivo che è proseguito anche nel corso dell’anno appena concluso e che fa ben sperare per il futuro. Visto il quadro economico generale, in cui è maturato il risultato ottenuto dall’export calabrese. Il 2023 è stato, infatti, un anno difficile per via dei conflitti internazionali che si sono scatenati – su tutti, quello russo-ucraino – che hanno complicato non poco il sistema di scambi tra Paesi. Senza contare l’impennata dei prezzi delle merci dovuta all’incremento del costo delle materie prime e del conto energetico pagato dalle aziende. Sotto questo profilo l’Italia ha pagato lo scotto più alto – in Europa – per la sua forte dipendenza dagli altri Paesi. Aspetti da valutare complessivamente per giudicare quel dato positivo ottenuto dalla Calabria in termini di crescita dell’export.
Una spinta importante ma non ancora sufficiente però a far ingranare la marcia del rilancio complessivo dell’economia calabrese. In termini assoluti, infatti, il valore delle merci veicolate fuori dalla regione – nonostante l’impennata – rimane decisamente marginale, per influire sulle dinamiche di costruzione della ricchezza prodotta nella regione. Una caratteristica che per questo limita – allo stato attuale – l’apporto positivo che potrebbe offrire alla crescita economica della Calabria. Impendendo di contribuire al processo di riduzione del gap con altre regioni, soprattutto del Nord Italia. Per questo resta incoraggiante il dato di crescita delle esportazioni delle merci calabresi che dovrebbe spingere ad intraprendere una strategia complessiva e mirata tesa a cavalcare quell’onda e a rafforzarne la portata. D’altronde l’export rappresenta uno dei pilastri fondamentali di sviluppo delle economie più evolute, ne costituisce l’elemento imprescindibile di redistribuzione della ricchezza sui territori e conseguentemente di crescita dell’occupazione locale.
Leggendo gli ultimi dati forniti dall’Istat, emerge come il 2023 sia stato un anno importante in materia di scambio con l’estero per la Calabria. La regione ha fatto registrare il tasso di incremento più alto, dopo la Campania, nel valore delle merci esportate. Decisamente superiore al dato nazionale.
In particolare, tra gennaio e settembre scorso la crescita dei prodotti esportati verso gli altri Paesi è stata quasi superiore a 21 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un dato che pone la Calabria appunto al secondo posto in Italia per crescita – la Campania ha segnato un +27,6% – e lontanissimo dall’incremento medio italiano che si è fermato ad appena l’1%.
In termini assoluti questo ha significato che la massa di merci trasferita verso l’estero è passata da 522 milioni dei nove mesi del 2022 a 631 milioni del corrispondete periodo dell’anno che si è appena concluso. Un incremento che ci ha permesso di effettuare anche un piccolo sorpasso, visto che la Calabria non è più in fondo alla classifica per valore complessivo delle merci scambiate. Ora ultima risulta la Valle d’Aosta con 569 milioni di prodotti esportati.
Un dato che però dimostra come l’export resti ancora largamente insufficiente a incidere sulla ricchezza prodotta nella regione. Se si considera che anche la Basilicata totalizza un valore di merci scambiate oltre tre volte superiore a quello calabrese e che la massa di prodotti esportati dalla Calabria rappresenti sempre lo 0,1% del totale dell’export italiano.
Ma la crescita c’è stata ed il dato ancora parziale indica che il valore delle merci movimentate è stato superiore a quello degli anni precedenti prendendo in considerazione questo lasso di tempo.
Leggendo il “Rapporto dell’Osservatorio Mpi” di Confartigianato Calabria, risulta che il comparto trainante dell’export regionale è legato all’esportazioni di alimentari e bevande.
Elaborando i dati dell’Istat, emerge che nel corso del 2023 la massa di prodotti movimentati in questo settore sia stata pari a 261 milioni di euro, cioè il 36% dell’intero paniere calabrese. Questo rappresenta il tasso più elevato tra le regioni. Su base territoriale, questo settore occupa oltre la metà delle merci esportate in molte province e addirittura nel Crotonese risulta il 78%.
Inoltre l’export di questi prodotti ha fatto registrare un incremento della quota occupata dalla Calabria su base nazionale: in un anno ha ottenuto un decimo di punto in più.
Un settore l’agroalimentare che così si conferma il cavallo vincente su cui puntare per scalare posizioni sulla classifica delle esportazioni di merci prodotte. E che dimostra il livello di apprezzamento di queste produzioni calabresi a livello internazionale.
Un interesse che però si concentra soprattutto nei paesi europei. Se si osservano i dati, infatti emerge che la gran parte dei prodotti esportati dalla Calabria resta all’interno del Vecchio Continente. Ed anche l’incremento delle esportazioni delle produzioni calabresi, registrato nel corso dell’anno, è stato maggiore per quest’area geografica. La crescita delle esportazioni verso i Paesi Ue è stata pari al 32,1% rispetto al 10,5% delle altre zone. Un aspetto che dovrebbe spingere i decisori politici ad intraprendere azioni ancor più mirate per conquistare fette di mercato anche nel resto del Mondo. Una strategia che porterebbe indubbi vantaggi all’intera economia calabrese.
La ripresa piena dei flussi commerciali e la ricerca di nuove produzioni potrebbero essere alla base della crescita dell’export calabrese. Ne è convinto Massimo Finocchiaro Castro, professore associato di Scienze delle Finanze all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria che, sul trend positivo, però invita alla prudenza. Soprattutto a non «rimanere alla finestra» ma ad accompagnare quella crescita. Ed il docente chiede un’attenzione particolare nella formazione del personale specializzato e nei rapporti di coordinamento tra istituzioni e mondo imprenditoriale. Stando alle sue parole, dovrebbero abituarsi a dialogare maggiormente per far crescere il livello di esportazioni delle produzioni calabresi.
La Calabria incanala ancora una volta dati in crescita sull’export. A cosa ascrivere questo fenomeno?
«Sicuramente si tratta di un dato molto interessante e da attenzionare. Come sempre, i fenomeni economici non possono essere ascrivibili ad un unico fattore ma ad una concatenazione di eventi positivi. In linea generale, si assiste ad una ripresa delle attività economiche quasi a livelli pre-Covid. Così come previsto da diversi studi, il tempo tecnico per rimettere in moto le attività economiche non sarebbe stato inferiore a 3 anni. Specialmente per quei prodotti che devono essere lanciati o presentati a nuovi mercati si rende necessaria la partecipazione a fiere e manifestazioni varie in cui è possibile far incontrare fisicamente “domanda ed offerta”. La ripresa dei flussi commerciali fra paesi ha messo così in moto nuovamente la domanda dei prodotti di eccellenza italiani e, nel nostro caso calabresi. Da un punto di vista prettamente psicologico, l’esperienza della pandemia potrebbe aver anche portato ad una maggiore voglia di consumo, in particolar modo di prodotti geograficamente lontani che sono stati assenti o molto limitati negli ultimi anni».
Si può parlare di un trend in crescita per la regione?
«Da un punto di vista squisitamente economico è un po’ presto per parlare di trend di crescita. Se dovesse rimanere costante anche per il 2024 allora si potrebbe definire un percorso di crescita che tende a consolidarsi. Ovviamente non è un risultato che si deve aspettare alla finestra ma che deve essere consolidato e migliorato dagli operatori economici con il costante supporto del decisore pubblico».
Anche se in numeri assoluti, la Calabria non riesce a superare lo 0,1 per cento.
«Sicuramente il peso specifico dell’export sull’economia calabrese non è modificabile con qualche anno di esportazioni positive. Bisogna capire che per scalare certe classifiche si deve investire in capitale umano ed infrastrutture. Risultato raggiungibile soltanto tramite il coordinamento del mondo imprenditoriale con quello politico».
Quali sono i comparti calabresi con maggiori potenzialità di crescita nel futuro?
«I settori restano quelli che meglio nel tempo interpretano il Made in Calabria e che per questo hanno più o meno sempre caratterizzato l’economia calabrese. I principali sono: il comparto dei prodotti alimentari, bevande e tabacco (il 33,2% dell’export totale), quello delle sostanze e prodotti chimici (26,3% dell’export totale), ed infine quello dei prodotti manufatturieri (10,1% dell’export totale). In questi settori si deve concentrare lo sforzo per consolidare i buoni risultati ottenuti rafforzando le filiere produttive e favorendone così le potenzialità di crescita futura».
Quanto incide la presenza di un grande porto come quello di Gioia Tauro sui flussi di esportazioni?
«Lo scalo gioiese è un’infrastruttura fondamentale che purtroppo non risulta utilizzata in maniera efficiente rispetto alle sue potenzialità. Tuttavia si registra una fase di crescita costante, partita già dalla seconda metà del 2019. Infatti, la movimentazione di container da gennaio a settembre 2023 è aumentata del 2,1% rispetto lo stesso periodo dello scorso anno. È uno strumento che potrebbe rivestire un ruolo strategico per lo sviluppo economico del territorio. Ricordo che diversi anni addietro venni coinvolto in uno studio di fattibilità di un World Trade Center all’interno del porto di Gioia Tauro insieme a colleghi degli altri dipartimenti, su richiesta della Regione Calabria a testimonianza delle potenzialità di tale infrastruttura. Qualcosa si è fatto da allora, ma tanto ancora resterebbe da fare per la sua crescita».
Quali pericoli intravede sull’export calabrese dopo l’introduzione della carbon tax per lo scalo di Gioia?
«Non credo che costituisca un pericolo rilevante, trattandosi di un’imposta europea che graverà su tutti i produttori dei Paesi. Il problema potrebbe porsi nel caso di importanti volumi di scambio commerciale con paesi extra-europei e per tanto con la tentazione di spostare la produzione in paesi con regole di tutela ambientale meno stringenti. Tuttavia, per evitare tale concorrenza “sleale” si è pensato al sistema dei certificati Cbam (Carbon border adjustment mechanism). Essi corrispondono ad una tonnellata di emissioni incorporate nelle merci. Le aziende importatrici dovranno acquistare dagli Stati UE un numero di certificati sufficiente per coprire il quantitativo di emissioni incorporate nelle merci acquistate fuori dai confini comunitari. In questo modo si dovrebbe disincentivare la delocalizzazione della produzione verso ‘paradisi inquinanti’ e concorrere alla salvaguardia dell’ambiente».
È solo questione di infrastrutture o sussistono limiti del sistema imprenditoriale a riuscire ad intercettare i mercati esteri?
«Sono due fattori che si completano negativamente. L’assenza di infrastrutture adeguate ed almeno pari a quelle dei competitors, rende difficile l’inserimento nei mercati globali a costi competitivi. Tuttavia, non sempre gli imprenditori hanno una visione a medio periodo e proiettata al di fuori del proprio territorio. È per tutti difficile uscire dalla propria “confort zone” ma dovrebbe essere nella natura imprenditoriale cercare nuovi mercati e innovazioni di prodotto e di processo che permettano di primeggiare nel proprio settore. Ciò che J. M. Keynes chiamava gli “animal spirits” degli imprenditori».
Quale apporto potrebbe essere fornito dalle università per favorire l’internazionalizzazione delle imprese?
«Le Università hanno un compito fondamentale, quello di formare la classe futura dirigente e le nuove generazioni di imprenditori. È nei banchi delle università che si dovrebbe capire che ormai bisogna guardare all’economia mondiale, a cercare lontano nuovi mercati. Per fare questo, però, bisogna avere un’adeguata formazione nel proprio settore di competenza e la padronanza di almeno una lingua straniera. Questa è, secondo me, la dotazione minima di “capitale umano” che dovrebbero offrire le università».
E le istituzioni?
«Le istituzioni sono l’altro fondamentale pilastro su cui costruire e consolidare i buoni risultati ottenuti dall’export calabrese. Devono stare al fianco degli imprenditori per aiutarli nel velocizzare, senza far mai venire meno i giusti controlli e le procedure amministrative, le loro richieste e necessità. In letteratura economica, è un risultato empirico ormai consolidato che dove la cosiddetta “Institutional Quality” è elevata, le imprese trovano un terreno fertile per sviluppare la propria attività. Il concetto di “Institutional Quality” è multidimensionale e considera le attività di controllo della corruzione, il rispetto delle regole, la responsabilizzazione dei dipendenti pubblici, il livello di investimenti nei servizi pubblici erogati ai cittadini ed imprese ed il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni pubbliche. Pertanto è immediato comprendere il ruolo cruciale giocato dalle istituzioni, specialmente, in contesti non avanzati, dove l’intervento pubblico deve essere deciso e mirato». (r.desanto@corrierecal.it)
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