COSENZA La criminalità organizzata allunga i tentatoli e contamina decine di comuni calabresi. Ma quali sono le dinamiche che portano le mafie a violare la soglia di ingresso dei municipi? Quali gli anticorpi a disposizione? Domande alle quali ha risposto, al Corriere della Calabria, è il giurista e avvocato Renato Rolli: docente di Diritto Amministrativo all’Università della Calabria, già consulente Parlamentare della Commissione Antimafia e due volte commissario per il concorso in Magistratura. Rolli è autore del libro “Il comune degli altri” dedicato allo scioglimento degli organi di governo degli enti locali per infiltrazioni mafiose.
L’ingerenza delle mafie nel territorio nazionale e sovranazionale è un fenomeno assai radicato a causa della capacità quasi camaleontica delle organizzazioni criminali di adattarsi al mutevole contesto sociale ed economico. Le statistiche rappresentano una cartina tornasole di tale fenomeno: nel 2004 sono 6 i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa; 8 anni dopo il numero si eleva a 24 Comuni. Gli scioglimenti di consigli comunali disposti nel 2022 sono stati 11, di cui 4 in Campania, 3 in Calabria, 2 nel Lazio e 2 in Puglia. Fino ad arrivare al 2023: ad essere commissariati sono 24 Comuni; capofila si conferma la Calabria, con il comune di Rende, recentemente commissionato e il comune di Capistrano, in provincia di Vibo Valentia, commissionato nel mese di ottobre 2023. Dal 1991 al 2023 sono stati sciolti 373 consigli comunali per infiltrazioni mafiose, di cui 25 annullati a seguito di ricorso (dati aggiornati al 23 giugno 2023); a questi si aggiungono sette aziende ospedaliere. È evidente la diffusione a macchia d’olio del fenomeno mafioso.
Il provvedimento di scioglimento è disciplinato dall’articolo 143 Tuel. Il presupposto dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali è rappresentato da significative risultanze, sufficienti a rilevare un condizionamento mafioso sugli organi dell’amministrazione in carica. Al fine di verificare la sussistenza degli elementi indizianti, il Prefetto competente per territorio nomina una commissione d’indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale costui esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è diretto titolare per delega del Ministro dell’Interno. Il procedimento, infine, si conclude con il decreto del Presidente della Repubblica che, su proposta del Ministro dell’Interno e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, dispone lo scioglimento dei Consigli comunali o provinciali.
Ciò che manca in questo procedimento è la partecipazione. L’assenza di una previsione normativa sulla partecipazione attiva, sia da parte del sindaco in via di scioglimento, sia da parte dei consiglieri, sia da parte della giunta, nonché – soprattutto – da parte dell’elettorato attivo e si pone in netto contrasto con i valori costituzionali. Difatti, l’avvio di uno stato di “quiescenza” dell’attività amministrativa locale certamente collide con il perseguimento del pubblico interesse. Queste le ragioni per le quali è sempre doveroso bilanciare scrupolosamente gli interessi e le esigenze che si manifestano nel caso concreto.
Se il deficit del procedimento sta nell’assenza della partecipazione, allora la soluzione sta nel prevedere forme partecipative in una fase utile del procedimento. Il “momento” nel quale occorre avviare una partecipazione, analizzando e studiando attentamente la norma contenuta nell’art. 143 TUEL, potrebbe essere riconosciuto nella fase iniziale ovvero in quella di accesso della commissione d’indagine all’interno dell’ente. La partecipazione nella fase iniziale del procedimento consentirebbe di contestualizzare il materiale probatorio che – indirettamente o direttamente – è stato posto alla base di un provvedimento di scioglimento del consiglio comunale. L’inserimento della fase partecipativa nel momento di insediamento dei commissari, invece, consentirebbe ai soggetti interni all’ente di descrivere in modo ottimale il funzionamento e le dinamiche che l’ente ha dovuto fronteggiare.
La ‘ndrangheta calabrese ha subìto un’evoluzione tale da consentirle di avere il controllo delle attività economiche fuori del territorio di origine dell’organizzazione, al punto di essere definita come mafia all’avanguardia. L’influenza della criminalità organizzata sul territorio locale, nonché sul libero esercizio dell’azione amministrativa degli enti di governo, confligge con il rispetto dei canoni basilari che ispirano l’agere pubblico: ossia, con tutti quei valori connessi alla valenza del principio di legalità, che si traduce in elezioni libere e genuine, nella trasparenza, nell’imparzialità e nel buon andamento degli organi pubblici.
(f.benincasa@corrierecal.it)
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