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Sanità, pazienti in fuga dalla Calabria. Il 43% si cura fuori regione

Solo l’11% delle donne calabresi si sottopone a screening promossi dal Ssn. Il dato più basso in Italia

Pubblicato il: 07/02/2024 – 10:45
Sanità, pazienti in fuga dalla Calabria. Il 43% si cura fuori regione

CATANZARO Al Sud i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi. Aumentare la spesa sanitaria è la priorità nazionale. L’autonomia differenziata rischia di ampliare le disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.
Sono queste le principali considerazioni emerse dal report Svimez “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato oggi a Roma in collaborazione con Save the Children. Il report, pubblicato nell’ultimo numero di Informazioni Svimez, curato da Luca Bianchi, Serenella Caravella e Carmelo Petraglia, offre una fotografia delle condizioni territoriali del SSN al quale si rivolgono i cittadini per le cure.

Il divario Nord-Sud

Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). Già prima della pandemia, il numero dei consultori familiari si era andato assottigliando, con la conseguente carenza di presidi territoriali di prossimità fondamentali per sostenere la salute e il benessere materno-infantile. I divari territoriali sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema Sanitario che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro.

La fuga dal Sud

La “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44 per cento era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22 per cento del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1 per cento del totale) hanno fatto il viaggio inverso. E’ la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25 per cento) e Sicilia (16,5 per cento). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza. L’indice di fuga – ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza – nel 2020 si attesta in media all’8,7 per cento a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4 per cento del Lazio al 43,4 per cento del Molise, il 30,8 per cento della Basilicata, il 26,8 per cento dell’Umbria e il 23,6 per cento della Calabria. In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) pediatrici.

La prevenzione

Un Paese, due cure. Nel report, presentato oggi a Roma emerge come nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa 2 su 3 lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, «dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli». La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia. (redazione@corrierecal.it)

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