Per la Calabria «un’incomprensibile assenza di dati» sull’inquinamento. È quanto emerge dall’annuale rapporto “Mal’Aria di città”, redatto nell’ambito della Clean Cities Campaign da Legambiente, in cui si analizza la qualità dell’aria nei capoluoghi di provincia. Mentre in tutta Italia è stato possibile registrare i dati, in Calabria l’associazione ambientalista rileva «un “buco” di un anno e mezzo dal giugno 2022 al dicembre 2023 nel monitoraggio sul territorio regionale che costituisce un vulnus grave per la tutela della salute dei cittadini calabresi». Questo nonostante il rapporto precedente, pur basato su dati parziali, non rilevava particolari problemi d’inquinamento.
Per la presidente calabrese di Legambiente, Anna Parretta, si tratta di «una circostanza molto preoccupante». «Lo scorso anno la nostra associazione aveva già lanciato l’allarme chiedendo che fosse garantita la fruibilità dei dati e rese trasparenti le notizie sull’effettivo funzionamento delle centraline di monitoraggio per come previsto dalla normativa vigente. Il d.lgs. n. 155/2010, in attuazione della Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, individua nelle regioni le autorità competenti per effettuare la valutazione della qualità dell’aria e per la redazione dei piani di risanamento che devono specificare le misure per raggiungere gli standard normativi. È evidente che la prevista rete regionale di monitoraggio della qualità dell’aria, per qualche motivo, non funziona. La nostra richiesta è quella di ripristinare celermente il funzionamento di tutti gli strumenti di analisi sulla salubrità dell’ambiente per evitare eventuali infrazioni comunitarie ma soprattutto per poter mettere in campo politiche concrete per rendere le città calabresi più vivibili e sicure, riducendo l’inquinamento atmosferico e migliorando la qualità della vita delle persone».
Per quanto riguarda il resto d’Italia, segnala Legambiente, la lotta allo smog è ancora in salita. «Nonostante una riduzione dei livelli di inquinanti atmosferici nel 2023, le città faticano ad accelerare il passo verso un miglioramento sostanziale della qualità dell’aria. I loro livelli attuali sono stabili ormai da diversi anni, in linea con la normativa attuale, ma restano distanti dai limiti normativi che verranno approvati a breve dall’UE, previsti per il 2030 e soprattutto dai valori suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, evidenziando la necessità di un impegno deciso, non più rimandabile, per tutelare la salute delle persone». In sintesi, 18 città sulle 98 monitorate hanno superato gli attuali limiti normativi per gli sforamenti di PM10. In testa alla classifica delle città c’è Frosinone (con la centralina di Frosinone Scalo) con 70 giorni di sforamento, il doppio rispetto ai valori ammessi, seguita da Torino (Grassi) con 66, Treviso (strada S. Agnese) 63 e Mantova (via Ariosto), Padova (Arcella) e Venezia (via Beccaria) con 62.
I dati evidenziano «un miglioramento rispetto all’anno precedente, principalmente attribuibile alle condizioni meteorologiche “favorevoli” che hanno caratterizzato il 2023, anziché a un effettivo successo delle azioni politiche intraprese per affrontare l’emergenza smog. Tuttavia, le città italiane, da Nord a Sud, presentano ancora considerevoli ritardi rispetto ai valori più stringenti proposti dalla revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria che entrerà in vigore dal 2030». Ma se la situazione dovesse restare così, nel 2030 il 69% delle città risulterebbe fuorilegge per il PM 10.
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