REGGIO CALABRIA All’incirca una ventina di minuti, anche meno probabilmente togliendo passaggi tecnici e burocratici. In terza Commissione del Consiglio regionale approda la proposta di legge del gruppo del Pd sul “fine vita” ma di fatto il dibattito si esaurisce in un breve lasso di tempo. Un approccio molto timido, dal versante della maggioranza di centrodestra, per un tema certo delicatissimo e complesso che però richiederebbe quantomeno una riflessione approfondita anche in sede regionale, e intanto vede una Calabria comunque già indietro rispetto ad altre Regioni.
Il gruppo del Pd alla Regione ci prova con una proposta di legge depositata addirittura 15 mesi fa (c’era ancora Nicola Irto ancora non senatore): il titolo è “Assistenza sanitaria per la morte serena e indolore di pazienti terminali”. Il testo recita, tra le altre cose: «Le strutture sanitarie pubbliche della Regione Calabria assicurano l’assistenza per aiutare alla morte serena e indolore le persone malate in stato terminale o cronico, la cui condizione clinica è compatibile con il diritto al rifiuto del mantenimento artificiale in vita ai sensi dell’articolo 32, comma 2, della Costituzione; … L’assistenza sanitaria di cui all’articolo 1, consistente in prestazioni e trattamenti clinicamente adeguati, è assicurata a persone in possesso dei seguenti e contestuali requisiti: siano capaci di assumere decisioni libere, consapevoli e abbiano espresso autonomamente e liberamente la volontà di accedere alle prestazioni e ai trattamenti, con le modalità e gli strumenti più consoni alle condizioni cliniche; siano affette da patologie irreversibili; siano tenute in vita con trattamenti di sostegno vitale; si trovino in condizione di sofferenze fisiche e psicologiche assolutamente intollerabili…». All’articolo 4 si garantisce l’obiezione di coscienza: «Al personale sanitario delle strutture interessate è assicurato il diritto di rifiutare, per motivi di coscienza, l’esecuzione delle prestazioni e dei trattamenti previsti dalla presente legge».
Oggi il primo step in terza Commissione Sanità del Consiglio regionale. Diversi gli assenti, a quanto risulta, soprattutto dai banchi della maggioranza. Secondo quanto riporta il resoconto di seduta, la presidente della Terza, Pasqualina Straface, di Forza Italia, introduce i lavori ricordando che «l’argomento in discussione, proprio per la sua complessità e le sue tante sfaccettature, non può costituire materia di legislazione regionale, ma necessita di un quadro di riferimento che può essere definito soltanto dal legislatore statale» e riferisce «l’interlocuzione con il presidente del Consiglio regionale che ha comunicato che da una riunione avuta con tutti i presidenti del Consiglio delle Regioni italiane è emersa la linea comune di ritenere le Regioni inadatte a legiferare su una tematica, che è di stretta competenza statale». Amalia Bruni, del Pd, concorda sul fatto che c’è una competenza nazionale e tuttavia puntualizza che «la proposta è stata presentata per favorire un dibattito sull’argomento e per stimolare il Governo a prendere in considerazione l’idea di definirne i profili giuridici, la proposta ha proprio l’ha proprio l’obiettivo di sollecitare la normazione sulla gestione di una fase particolare della vita». La seduta di fatto si chiude qui, con un aggiornamento la cui realizzazione per la verità sarà tutta da verificare in futuro, considerando i primi “sbarramenti” palesatisi oggi. Mentre altre Regioni – non solo il Veneto – quantomeno sul tema del “fine vita” hanno un cammino più spedito quantomeno sul piano della riflessione e del dibattito: come in Liguria, e infatti giusto qualche giorno fa il governatore Toti si è detto favorevole a legiferare anche a livello regionale. (a. c.)
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