VIBO VALENTIA Non si farà quest’anno lo storico Carnevale Miletese. Lo ha annunciato la stessa associazione in una nota pubblicata nei giorni scorsi. Problemi, scrivono nel comunicato, di «tipo organizzativo e logistico», non risolvibili al momento «per diverse ragioni». L’annullamento arriva nonostante il Comune avesse garantito, come ogni anno, l’elargizione di contributi economici. A fermare gli organizzatori sarebbe stata anche una partecipazione che «purtroppo negli ultimi anni è forse venuta meno sotto il profilo dell’intensità originaria». Tuttavia, all’indomani del 2023 si celebrava, al contrario, «la grande partecipazione» tanto da annunciare alacri preparativi per la speciale edizione di quest’anno, in cui si sarebbe festeggiato il ventennale dalla nascita. Tutto, però, cancellato. A sostituire lo storico evento, il Comune, da poco sotto la lente della commissione d’accesso antimafia, ha deciso di organizzare insieme alla Pro Loco un carnevale “ridimensionato”.
Sull’organizzazione del carnevale miletese avevano puntato i riflettori anche gli inquirenti della Dda di Catanzaro, in particolare sull’edizione del 2018. Dettagli emersi dall’inchiesta “Maestrale Carthago” della Distrettuale antimafia di Catanzaro, operazione che avrebbe convinto il Prefetto di Vibo Giovanni Paolo Grieco a inviare, lo scorso 11 dicembre, gli ispettori della commissione d’accesso antimafia. Mileto è l’ultimo dei cinque comuni del vibonese che nel 2023 sono finiti sotto la lente della commissione, nonostante l’attuale sindaco Salvatore Fortunato Giordano e la sua amministrazione non siano coinvolti nelle indagini. L’inchiesta getta però più di un’ombra sulle amministrazioni precedenti, in particolare sulle figure di Vincenzo Nicolaci, Antonio Gaetano Prestia, Domenico Colloca, rispettivamente consigliere, assessore e vicesindaco nelle passate amministrazioni, tutti rinviati a giudizio nel processo che prenderà il via a marzo davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia. Politici e imprenditori che avrebbero, secondo gli inquirenti, mantenuto forti legami con le ‘ndrine locali.
Un «pervasivo inserimento all’interno degli apparati amministrativi comunali» che avrebbe consentito alle strutture di ‘ndrangheta di «pilotare l’assegnazione degli spazi pubblici da dedicare a bancarelle ambulanti e giostre per spettacoli danzanti» nell’edizione 2018 del carnevale di Mileto. A interessarsi personalmente dell’organizzazione sarebbe stato Giuseppe Mangone, detto “Pinu u barberi”, condannato in primo grado a 16 anni nel processo “Rinascita-Scott“. Mangone viene ritenuto dagli inquirenti «uomo di fiducia di Luigi Mancuso» e «anello di congiunzione» con il locale di Limbadi. Dalle indagini emerge come, in quell’occasione, avrà «la piena gestione degli spazi da assegnare». In costante contatto con un ufficiale della polizia locale, non indagato ma per gli inquirenti «totalmente assoggettato alle volontà» del Mangone, avrebbe così gestito la destinazione degli spazi pubblici a giostre e bancarella «pur non ricoprendo alcun incarico istituzionale».
«Il carnevale non si doveva fare per niente!». È il 26 gennaio quando, in una conversazione telefonica, Mangone riferisce di alcune difficoltà nell’organizzazione dell’evento da parte degli organizzatori. Carnevale che si sarebbe tenuto non l’11 febbraio, come inizialmente previsto, ma il 18. Oggetto della telefonata una giostra a cui garantire uno spazio pubblico durante l’evento, in particolare «una richiesta ben specifica, cioè quella di installare lo spettacolo viaggiante in Piazza Italia», come da domanda fatta pervenire in Comune. Ma Mangone, rilevano gli inquirenti, sarebbe già a conoscenza di tutto. «Non è un problema!… Ora… stamattina ci siamo visti con quell’amico mio!… Con chi di competenza!» riferendosi all’ufficiale della polizia locale che avrebbe rassicurato il Mangone: «E mi ha detto… “questo qua… dentro la…” dice “…facciamo di tutto!” Avete capito?». L’interlocutore sarebbe stato dunque rassicurato «sul fatto che avrebbero fatto di tutto per agevolarlo». Non a caso, qualche giorno dopo Mangone ricontatta il vigile urbano perché «dobbiamo vedere poi come poterlo sistemare…». Per gli inquirenti, dunque, «è proprio Mangone Giuseppe, pur non ricoprendo alcun ruolo istituzionale, a dare disposizioni chiare» al dirigente della polizia locale. Come emerge dalle conversazioni: «La giostrina gliela facciamo mettere…».
Stesso modus operandi utilizzato per i permessi da concedere a un’altra bancarella. Anche in questo caso sarebbe stato Mangone ad occuparsi della faccenda, rassicurando il titolare della bancarella che «ci penserà lui – insieme al vigile – a fargli ottenere le dovute autorizzazioni». Questa volta, però, Mangone viene avvisato dal dirigente «sul fatto che si sta trovando in difficoltà ad agevolare queste persone che gli sta segnalando in quanto la Questura ha messo norme più stringenti per questioni di ordine pubblico». Infatti, lo stesso vigile riferisce a Mangone: «Eh… deve presentare altri documenti… lui lo sa!… È una battaglia qua… che non vogliono a nessuno a questo giro!… Non vogliono a nessuno neanche nelle traverse!… Una battaglia ho dovuto fare!». Dalle conversazioni e dai rapporti ricostruiti, per gli inquirenti dunque «è stato possibile accertare come Mangone Giuseppe, in virtù del fatto che lo stesso è uomo di fiducia di Mancuso Luigi, riesca ad infiltrarsi all’interno degli apparati amministrativi del Comune di Mileto condizionando l’operato e le scelte». Lo stesso ufficiale della Polizia Locale, pur non essendo indagato, ne avrebbe «favorito l’azione», nonostante fosse «ben consapevole del ruolo criminale ricoperto» da Mangone. (Ma. Ru.)
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