COSENZA In Calabria esistono già 14 Unioni dei Comuni, 8 delle quali nel Cosentino: l’ultima nata è localizzata nell’Alto Jonio.
L’unione dei comuni «è una forma di associazione tra comuni confinanti» – si legge su OpenPolis – che «non prevede la fusione tra amministrazioni ma la gestione condivisa di alcune funzioni e servizi, mantenendo la propria autonomia negli altri aspetti». Più semplice da attuare, più utile nell’impatto, dicono i sostenitori come il Comitato per la Città Policentrica, che in questo weekend ha organizzato una raccolta firme in centro. «Alla proposta di legge per la fusione, contestata per il metodo autoritario e nel merito», il CCP «oppone un’articolata proposta di Unione dei Comuni dell’area urbana non limitata a Cosenza, Rende e Castrolibero ma aperta ai Comuni a Sud, nell’ottica dell’area di cintura e della plurisecolare centralità del capoluogo nell’area urbana».
Se la fusione consiste nella soppressione di due o più Comuni e nella contestuale sostituzione con uno nuovo di maggiori dimensioni, l’Unione non comporta la soppressione.
Ma per dimostrare che non si tratta di una battaglia di retroguardia o peggio di preconcetti, l’associazione “Prima che tutto crolli” – una delle sette che compongono il combattivo comitato – spiega in un dossier il no alla città unica e il sì alla città «policentrica», confutando punto per punto «lo squilibrio a nord di un sistema urbano storicamente circolare».
Anzitutto è «falso» che ci saranno finanziamenti per 150 milioni di euro perché «il contributo è concesso nei limiti degli stanziamenti annuali. Solo il massimo stabilito (10 milioni) per il massimo degli anni (15) darebbe 150 milioni, e non è probabile» tanto che «in Italia non ha mai raggiunto questi limiti (nel 2022 il massimo contributo non ha superato i 2 milioni di euro)».
Secondo l’associazione non è vero neanche che si risparmierà grazie alla riduzione delle “poltrone” e all’amministrazione unica: argomentazione «fuorviante» e «risparmio aleatorio sia perché oltre i 100mila abitanti aumentano le retribuzioni (fino a 14mila euro mensili) sia perché ci sarà la necessità di creare tre suddivisioni municipali».
Uno dei nodi è se con il referendum decideranno i cittadini. Al proposito gli attivisti cosentini ricordano che «il referendum è solo consultivo e la decisione per legge prescinde da esso. La Regione ha delegittimato i Comuni: ha tolto loro la facoltà di intervenire, indice il referendum e approva la legge prescindendo da esso».
«Falso» anche che «la città unica di fatto esiste già» perché – si legge nel questionario strutturato nella forma delle Faq (Frequently Asked Questions, ovvero “domande frequenti”) – «non è una città» e «non ha forma e funzione né qualità urbana. È solo la somma di più agglomerati diversi per nascita e qualità, messi insieme uno appresso all’altro: una città spaghetto, lunga, stretta e ingestibile».
Raggiungendo i 100mila abitanti si contrasterebbe lo spopolamento? Un altro falso secondo l’associazione perché «la denatalità crescente, le dinamiche demografiche e il rifiuto di riconoscere nel territorio una risorsa per lo sviluppo armonioso del sistema urbano ci riporterebbero allo stesso punto in poco tempo».
Gli attivisti tornano a confutare anche l’idea di «fusione già di fatto esistente» argomentando che «così Cosenza abbandona e condanna, con il centro storico, identità e territorio. Tale decisione ignora le istanze della comunità e la partecipazione; trascura la reale fattibilità e la qualità urbana; sposta il baricentro urbano; fa del capoluogo una città in fuga dalle sue radici».
Nel report si ribadisce il sì all’unione dei comuni ma «condizionato da un riequilibrio a sud con la partecipazione di altri comuni contermini al capoluogo» e si «promuove, senza sopprimere le amministrazioni, una corretta gestione di funzioni e servizi, con economie di scala. È l’unico strumento – si legge nel documento – per valutare i benefici di eventuali future fusioni».
L’area di cintura di Cosenza «è l’area di sviluppo concordata strategicamente con l’Europa per l’impiego delle risorse. È la “città policentrica” formata dall’attuale sistema urbano insieme ai comuni che gli fanno corona, territorio di riferimento storico plurimillenario (i Casali cosentini, l’area Piano Lago-Savuto, le Serre cosentine)». Si tratta di 30 comuni tutti a non molti minuti di percorrenza da Cosenza.
«Detta anche città arcipelago» spiega “Prima che tutto crolli” «è un modello di città del futuro, stimolato anche dalla pandemia: una città non più centro-periferia, ma con molti quartieri autosufficienti capaci di valorizzare la dimensione umana e la possibilità per tutti di raggiungere le funzioni fondamentali».
L’ultimo punto approfondisce il tema del «riequilibrio a sud» annotando che «la fuga dello sviluppo verso nord e lo spostamento del baricentro urbano comportano emarginazione dei territori di cintura e spopolamento dei borghi. Il danno maggiore lo avrebbe il centro storico di Cosenza, destinato a diventare una periferia estrema definitivamente emarginata e disgregata».
LEGGI ANCHE
• Due precedenti e un rischio
• Intervista a Salvatore Perugini
x
x