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IL CONTRIBUTO

La settima apparizione: 23 febbraio 1858

Il 22 febbraio Bernadette si recò ancora alla grotta, recitò il rosario ma la “bella Signora”, non apparve. In quel giorno forse la Vergine volle dare un segno: non potevano i preti non credere a …

Pubblicato il: 11/02/2024 – 8:19
di Nunzio Raimondi
La settima apparizione: 23 febbraio 1858

Il 22 febbraio Bernadette si recò ancora alla grotta, recitò il rosario ma la “bella Signora”, non apparve. In quel giorno forse la Vergine volle dare un segno: non potevano i preti non credere a Bernadette senza ferire il Suo cuore. Tanto deduco da ciò che accadde il giorno successivo, il 23 febbraio, giorno della settima apparizione. Intanto i devoti aumentavano a vista d’occhio: Bernadette giunse all’alba a Massabielle, questa volta accompagnata dalla madre e dalle zie Bernarda e Basilia. Ad attenderla alla grotta anche alcuni occhi guardinghi: il dott. Dozous e l’attendente militare Lafitte. Ed ecco la Vergine apparve di nuovo! Dapprima Maria rivelò a Bernadette un segreto soltanto per lei raccomandandosi di non dirne a nessuno. Poi aggiunse: “Ora figlia mia, andate e dite ai preti che voglio sia eretta in questo luogo una cappella”. Questa volta il messaggio era diretto ed avrebbe scosso non poco il curato Peyramale quando Bernadette si affrettò a riferire del desiderio della Signora. Ma anche il curato non volle crederle e chiese alla pastorella di domandare il nome di questa fantomatica Signora. Come non bastasse chiese pure a Bernadette di domandare alla Signora di dare dimostrazione della propria divinità con un prodigio: che il roseto vicino alla grotta fiorisse in pieno inverno. Solo così avrebbe creduto: come dire…”Se non metto il dito nella piaga…”. Intanto il procuratore imperiale, dal canto suo, escogitava strategie per far cessare lo strepito: pensò che sarebbe tornato utile mandare illustri medici a visitare la pastorella; chissà che non avessero trovato segni di malattie nervose o mentali, così da poterla spedire in manicomio… La verità è che tutti i benpensanti avevano tacciato l’evento per una montatura che, prima o dopo, si sarebbe sgonfiata da sé ma, per ora, cercavano di correre ai ripari… Ora, la mia meditazione riguarda la preoccupazione, che ancora oggi è molto avvertita, che la fede non rimanga un fatto privato e che perciò il manifestare pubblicamente il proprio credo sia da riservare ai semplici, possibilmente senza cultura, una sottospecie di creduloni non adeguatamente attrezzati, oppure, peggio, rimanga nel recinto degli “addetti ai lavori”. Conosco tante persone che preferiscono mostrarsi (o far credere di essere) appartenenti ad obbedienze e camerille, piuttosto che professarsi Cristiani. Ed in fondo li capisco: essere Cristiani non soltanto esige condotte conseguenti ma implica anche, come sarà chiaro da domani in poi anche in questo racconto, sacrificio e croce. Per crucem ad lucem.

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