VIBO VALENTIA «Luigi Mancuso non l’ho mai conosciuto di persona, nell’ambiente criminale di cui facevo parte si diceva che era il capo del Vibonese, di tutto il Vibonese, in tutta la provincia di Vibo. Pare che abbia avuto degli incontri con mio cognato, Salvatore Muggeri e con Saverio Prostamo riguardo al Club Med. Dopo la carcerazione di “Scarpuni”, riguardo le estorsioni del Club Med, sono subentrati loro dicendo che le cose cambiavano». A parlare è uno degli ultimi collaboratori di giustizia, Antonio Accorinti, 43enne figlio del presunto boss Antonio.
In un verbale risalente allo scorso settembre del 2023, il pentito ha risposto alle domande del pm della Procura di Catanzaro, Andrea Giuseppe Buzzelli, fornendo dettagli importanti su due inchieste in particolare, Maestrale e Imponimento. Sia Muggeri e che Prostamo, citati proprio da Accorinti, sono già stati rinviati a giudizio nel prossimo processo “Maestrale” che partirà a marzo davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia. «Dopo l’ultima carcerazione di “Scarpuni” – racconta Accorinti – c’era in ballo il Club Med e c’era questa estorsione riguardante le ditte di tramite cui facevano la fattura falsa». Come racconta il pentito, di fatto fin quando Pantalene Mancuso era in libertà «la prendeva Prostamo e la portava e la divideva con “Scarpuni” fin quando era libero poi, visto che la ditta che faceva la fattura era riconducibile ai Piromalli, facevano tutto loro».
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Accorinti spiega di non aver mai incontrato Luigi Mancuso: «Quando ero nel carcere di Vibo, nell’operazione Odissea, ho avuto uno screzio con Agostino Papaianni, e un giorno mentre tornavo da un’udienza di Black Money, lo stesso Papaianni mi disse “ha detto lo zio Luigi che devi stare calmo e devi stare vicino a me”». Agostino Papaianni è considerato co-organizzatore della articolazione attiva nel territorio di Ricadi e di Tropea, operando in costante collegamento con la consorteria di Limbadi. Nel processo Rinascita-Scott, in primo grado, ha rimediato una condanna a vent’anni di carcere. «Era successo che io avevo preso un’amicizia con Francesco Fortuna, di Sant’Onofrio, e Papaianni voleva che camminassimo sempre a scaglioni con i vibonesi con vibonesi. Io e lui eravamo sempre insieme, passeggiavamo sempre insieme, mentre gli altri Vibonesi seguivano Papaianni».
E racconta un aneddoto particolare. Siamo nel carcere di Vibo Valentia, tra aprile e agosto del 2016. «Successe una sera che non funzionava il telefono, io dovevo chiamare a casa e non riuscivo a sentire i bambini, perché non funzionava il telefono e ho avuto uno screzio con la guardia che mi diceva che non potevo chiamare e che dovevo rinviare la chiamata. Io ho fatto un po’ di casino, si affaccia Papaianni dalla cella e mi disse di smetterla di urlare in cella, che avrei richiamato il giorno dopo. Io mi avvicinai alla cella e dissi che gli avrei staccato la testa e lui lo riferì a Zio Luigi». «Gli dissi “non parlare ca’ ti stacco la testa, fatti i fatti tuoi e non parlare” e lui questa con il fatto del passeggio, lo riferì». «Poi mi rimandarono questo messaggio indietro, di stare calmo e di stare vicino a lui, mi disse proprio lo zio…».
Accorinti spiega poi che gli screzi in carcere erano già iniziati dal momento del suo arrivo, dopo l’arresto, al “piano A”. «Scappò dicendo “sono arrivati i soldati di “Scarpuni”” e lui come diciamo si usa nelle carceri del vibonese e a Siano non è venuto nemmeno a chiederci se avevamo bisogno di qualcosa, essendo arrivati quel giorno lì, e allora io di conseguenza non l’ho più calcolato e un giorno mi disse che “io sono un amico di tuo padre, tu devi stare con noi”, io gli dissi “no io cammino con chi voglio”». «Poi c’è stato un altro screzio per i pantaloncini che diceva che non potevamo scendere con i pantaloncini mentre lui scendeva, io sono sceso e lui mi ha detto: “Come mai sei sceso?”». «Ci sono queste usanze, non si poteva scendere in pantaloncini. Tra detenuti non si può scendere, era agosto e faceva caldo sinceramente e un giorno gliel’ho detto “domani scendiamo in pantaloncini”. Subito lui “no no, in pantaloncini non si scende“». Accorinti spiega che invece alcuni di Reggio Calabria scendevano in pantaloncini mentre ai “vibonesi” non era concesso. «Un giorno mi sono accorto che lui scendeva con i pantaloncini, faceva finta di correre, faceva un giro e si fermava, ci eravamo detti che non si poteva scendere, mentre lui scendeva, facendo finta di correre». «Totò poi torna da una udienza di Black Money mi chiama e mi dice “ti posso parlare? Ha detto zio Luigi che devi stare calmo e devi ascoltare quello che ti dice” e gli ho risposto “ma tu a zio Luigi glielo hai detto quello che hai fatto tu?” e mi disse: “chiudiamola qua e non ti preoccupare” e io ho continuato per la mia strada». (g.curcio@corrierecal.it)
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