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l’inchiesta “case popolari”

Le case popolari a Reggio? «O ti raccomandi con Minicò o con la ‘ndrangheta»

I pentiti sulla presunta ingerenza dei clan. L’ex dirigente Aterp «indicava l’escamotage per superare la graduatoria»

Pubblicato il: 14/02/2024 – 13:03
di Fabio Benincasa
Le case popolari a Reggio? «O ti raccomandi con Minicò o con la ‘ndrangheta»

REGGIO CALABRIA Giuseppe Stefano Tito Liuzzo è un collaboratore di giustizia, in passato pregiudicato per associazione mafiosa, omicidio, ricettazione, estorsione, usura, favoreggiamento personale ed altri reati. Le sue vicende personali e criminali lo legano strettamente alla cosca Rosmini, della quale era affiliato. E’ del pentito, uno dei racconti finiti nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, che questa mattina ha portato all’arresto di 9 persone: due finite in carcere e sette ai domiciliari. Tra i fermati, un presunto boss della ‘ndrangheta, Carmelo Murina, di 60 anni, ed un suo parente. Ai domiciliari anche l’ex dirigente dell’Aterp reggina, Eugenia Rita Minicò, di 67 anni.

Il sistema degli alloggi

Quali sono gli interessi della ‘ndrangheta nella destinazione degli alloggi popolari? E’ questa la domanda sul tavolo degli investigatori, decisi a far luce su un sistema che avrebbe consentito alle cosche reggine di lucrare anche sulle abitazioni destinate alle famiglie meno abbienti. Il pentito riferisce di non essersi occupato direttamente dell’affare ma di essere a conoscenza che «a Santa Caterina compravano case di edilizia popolare per 15-20.000 euro, per poi aggiustarle ed affittarle, rivenderle o darle in uso ad amici a cui potevano servire». Il dato rilevante è che le abitazioni non venivano compravendute (essendo sottratte al libero mercato, in quanto di proprietà comunale o dell’Aterp), ma dovevano essere assegnate a famiglie bisognosi. Secondo Liuzzo, «l’assegnazione avveniva grazie alla compiacenza di una donna». Ogni zona di Reggio Calabria aveva un referente per quanto attiene l’assegnazione degli immobili. «Per avere una casa popolare a “Santa Caterina” era necessario rivolgersi alla cosca Franco, nel rione “Modena” ai Rosmini».

Il racconto dal pentito De Carlo

C’è un altro pentito, Maurizio De Carlo, che racconta ai magistrati il presunto sistema di assegnazione degli alloggi “pilotato” dalla ‘ndrangheta con la complicità di alcuni indagati. Il collaboratore di giustizia cita il nome dell’indagata Eugenia Rità Minicò: in grado – a detta del collaboratore – «di spiegare agli affiliati quale escamotage seguire per vedersi assegnata la casa; in altri termini, era lei stessa a fornire le indicazioni su come operare per aggirare la graduatoria». Le assegnazioni – da quanto si è appreso – «avvenivano su appartamenti vuoti, salvo alcuni casi in cui gli occupanti venivano cacciati per fare posto ad altri». Inoltre, sempre secondo il pentito «il marito di Minicò, Annunziato Tripodi (indagato) avrebbe favorito la latitanza di Vincenzino Zappia». Tripodi viene indicato come «un affiliato alla criminalità organizzata, pur non essendo battezzato» e insieme a sua moglie sarebbero stati «a disposizione della cosca, non solo per le assegnazioni di case popolari, ma anche per cambiare assegni e per prestare denaro». Chi indaga reputa rilevanti anche le dichiarazioni fornite dal pentito su Giuseppe Agostino (indagato). «Un affiliato alla cosca Franco-Murina» e in stretti rapporti con Carmelo Murina «superiore a lui gerarchicamente, gli impartiva ordini, che tuttavia non sempre eseguiva». Lo stesso Murina «aveva un alloggio popolare a Santa Caterina» così come «Michele Morabito (indagato)».

«O ti raccomandi con la Minicò o ti raccomandi con la ‘ndrangheta»

Il pentito, dunque, offre un quadro dettagliato degli indagati nell’inchiesta della Dda reggina, ma tuttavia si sofferma sulla posizione dei coniugi: Annunziato Tripodi e Eugenia Rita Minicò. «O ti raccomandi con la Minicò o ti raccomandi con la ‘ndrangheta o casa non ne puoi avere. Non solo non puoi ottenere quelle buone, ma non puoi proprio ottenerne». Come emerge dai verbali resi, «sia il marito che la moglie avevano rapporti strettissimi con Vincemmo Zappia. Il marito ne ha favorito la latitanza (…) lei si metteva a disposizione di tutti». Secondo De Carlo, «Tripodi era intimo di Carmelo Murina» e di un altro soggetto non indagato Monorchio, «affiliati ai De Stefano, ma sono i referenti sul quartiere di Santa Caterina». Che «dipende dalla locale di Archi». Il collaboratore sottolinea la necessità della mala di inserire sul territorio i referenti «dopo la guerra di mafia» con «i Franco-Murina messi a supervisionare il quartiere per conto della famiglia Tegano-De Stefano». Non solo alloggi popolari. Il pentito, infatti, riferisce di alcune presunte attività di Minicò che «tramite Zappia girava assegni, in quanto Tripodi non aveva un conto corrente. Era un’anticipazione di denaro, garantito da un assegno. Avveniva anche il contrario. Lei si occupava delle pratiche delle case che venivano occupate abusivamente. Lei indicava l’escamotage per poi vedersela assegnare, anche al fine di superare la graduatoria». Sul meccanismo, il pentito dice di non essere a conoscenza dei dettagli del modus operandi. «Non so esattamente come avvenga questo imbroglio. La signora prendeva soldi, da chi non era affiliato, mentre agli affiliati non faceva pagare alcunché. In qualche caso, qualcuno è addirittura, stato cacciato, ma per lo più erano appartamenti vuoti». Infine, secondo il pentito «gli affiliati non si sdebitavano con la signora con regali. Con gli affiliati non aveva un tornaconto diretto. Lo facevano con piacere».
(f.benincasa@corrierecal.it)

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