REGGIO CALABRIA «Carmelo Murina è quello principale che prende tutte le decisioni. Cioè, quello che comanda più di tutti». In una delle sue dichiarazioni, il collaboratore di giustizia Giuseppe Morabito delinea il profilo di Carmelo Murina, presunto boss della ‘ndrangheta reggina arrestato oggi nell’ambito dell’operazione “Case popolari”, che ha portato, oltre al suo, all’arresto di altre otto persone, di cui sette ai domiciliari. L’inchiesta fa luce sulla «gestione ed il controllo delle assegnazioni e delle occupazioni degli alloggi di proprietà dell’Aterp e del Comune di Reggio Calabria» da parte della cosca Murina-Franco, capeggiata secondo gli inquirenti dallo stesso Carmelo Murina. La figura del presunto boss è stata descritta dal pentito Morabito, detto “Pino capraro”, che al pm ha raccontato del suo legame con l’indagato, dall’affiliazione congiunta all’anomalo rientro a Reggio dopo la “capitalizzazione” da collaboratore. Rientro che sarebbe stato possibile solo grazie alla protezione di Murina.
La carriera criminale di Morabito sarebbe strettamente legata a quella di Murina. A partire dall’affiliazione congiunta alla ‘ndrangheta che sarebbe avvenuta tramite battesimo nel lontano 1985. «A me e a Carmelo Murina c’hanno dato all’inizio queste cariche qua, c’hanno dato direttamente sgarrista» racconta Morabito agli inquirenti. Ai dubbi degli investigatori sul perché sia stata assegnata subito una dote “alta”, saltando i gradi di picciotto e camorrista, il pentito risponde sia perché «ci dava questa cosa anche per darci una carica in più» sia «perché ci hanno visto che eravamo abbastanza attivi». Il collaboratore racconta come due anni dopo, mentre si trovava in carcere, sia arrivata anche «la dote di santista».
Nonostante l’affiliazione congiunta, Morabito e Murina compiono inizialmente percorsi diversi, con il collaboratore di giustizia che sarebbe stato più vicino alla cosca dei Lo Giudice. Fino al “cambio di casacca” con l’avvicinamento ai Murina-Franco, il «nuovo gruppo» del rione di Santa Caterina, favorito dal rapporto con il presunto capo. «…Sapendo sempre che io ero vicino a Carmelo Murina, dice, di conseguenza tu sei, fai parte del nostro gruppo» ricorda Morabito. Un cambio “insolito”, dal momento che si tratta, rilevano gli investigatori, di «due cosche distinte e separate egemoni sullo stesso quartiere». Per Morabito però il legame con Murina aveva la priorità, tanto che, incalzato dagli inquirenti su un eventuale schieramento contro i Lo Giudice o i Franco, il pentito risponde: «Io sempre seguivo la linea con Carmelo Murina», anche in virtù del fatto che «eravamo molto affiatati».
Ancora più «insolito», come lo definiscono gli inquirenti, il rientro di Morabito a Reggio avvenuto dopo un periodo di collaborazione con la giustizia concluso con la “capitalizzazione”. Gli investigatori rilevano «l’anomalia circa l’assenza di qualsivoglia reazione negativa in pregiudizio del Morabito». In sintesi, il pentito ritornava tranquillamente nel suo quartiere, tanto da riprendere anche l’attività criminale. È lo stesso Morabito a spiegare che tale rientro è stato possibile grazie alla protezione di Murina che «…aveva assicurato che non mi sarebbe successo niente». «Carmelo Murina mi ha fatto tornare a Reggio Calabria per controllarmi, per fare vedere agli occhi delle altre cosche che mi aveva fatto ritrattare» racconta il collaboratore. Anche di fronte alla contrarietà dei Franco, Morabito avrebbe ricevuto dall’indagato il via libera tramite una lettera «dicendo che non devo dare conto a nessuno». Un potere di veto dovuto al livello gerarchico superiore e al fatto che, afferma Morabito, «Carmelo Murina comanda a Santa Caterina, è il capo della nostra cosca».
(Ma.Ru)
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