CATANZARO Abbiamo scoperto un «traffico di droga e l’ingresso di dispositivi come cellulari nel carcere di Catanzaro a un parente legato a un’organizzazione criminale. Un quadro particolarmente inquietante perché è avvenuto in un istituto penitenziario». Lo ha detto questa mattina il procuratore f.f. della Dda di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, durante la conferenza stampa organizzata questa mattina in seguito al blitz che ha portato all’arresto di 26 persone, 16 in carcere e 10 ai domiciliari, oltre a 5 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria e 7 sospensioni dall’esercizio delle funzioni, su input della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e su ordine del gip.
Capomolla ha parlato di un’organizzazione formata anche da persone non detenute che teneva sotto contro parenti e agenti. Le «misure cautelari riguardano soggetti già detenzione e operatori polizia penitenziaria e funzionari del carcere» mentre si è trattato di «monitoraggio complesso, condotto da carabinieri dall’esterno del carcere e dal Nucleo investigazione centrale della Polizia penitenziaria, all’interno dell’istituto che «ha fatto emergere le condotte illecite». «Il sistema penitenziario – ha spiegato Capomolla – ha comunque al suo interno strumenti per assicurare il rispetto delle regole e questo ci rassicura».
Durante l’indagine «abbiamo accertato diverse omissioni di pubblici ufficiali che hanno nascosto condotte illecite e abbiamo ricostruito due distinti sodalizi con attività di distribuzione di droga e di cellulari all’interno del carcere», ha spiegato invece il commissario della Polizia penitenziaria, Chiappetta, a cui ha fatto eco il comandante dei Carabinieri di Catanzaro, Giuseppe Mazzullo, che ha parlato di «due associazioni sovrapponibili, una dedita allo smercio della droga e una a quello dei cellulari e mini cellulari». Telefonini le cui sim, è stato detto in conferenza stampa, erano intestate a operatori commerciali.
È stato significativo «il ruolo dei parenti all’esterno, composto anche da un numero considerevole di donne che supportano l’attività dei compagni all’interno del carcere, si trattava di compagne, mogli e madri. Abbiamo poi ricostruiti i movimenti di denaro sulle carte prepagate. Ad esempio, su una di queste, in 5 mesi abbiamo registrato movimenti per 12mila euro e questo testimonia che la vendita della droga e lo smercio dei cellulari erano fonti enormi di reddito per sostenere i due gruppi criminali». «Durante l’indagine abbiamo ricostruito più profili di responsabilità tra funzionari di amministrazione penitenziaria, agenti, comandanti e direttori, riscontrando una condotta di omissione che equivale comunque a commettere reato». A un operatore di Polizia penitenziaria, inoltre, è stato contestato il rato di concorso esterno in associazione mafiosa. (c. a.)
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