CATANZARO A far scattare l’allarme è stata una annotazione proveniente dalla Casa circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro. La data è del 29 settembre 2021 e, in quel documento, si fa riferimento a un giro di spaccio di droga all’interno dell’Istituto penitenziario a capo del quale, però, ci sarebbe un appartenente alla Polizia penitenziaria. Il presunto “infedele” sarebbe Maurizio Corasaniti il quale, in cambio di denaro corrisposto su una PostePay, avrebbe introdotto nel carcere sostanza stupefacente.
Da questo spunto è partita l’indagine coordinata dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro, con gli inquirenti che sono riusciti a ricostruire, nome dopo nome, il sodalizio dedito al traffico di droga. E i nomi sono di peso: Angela Paravati, Direttrice della Casa circondariale, e Simona Poli, Comandante della polizia penitenziaria. Tutte e due finite oggi in carcere. Emersa, poi, la sussistenza di una associazione per delinquere dedita alla commissione dei reati come l’ingresso in carcere dei telefonini. Per il gip sono «due sodalizi quasi totalmente sovrapponibili». A farne parte sia detenuti, sia soggetti esterni alla Casa circondariale di Catanzaro, congiunti o comunque legati agli stessi detenuti. C’è Gaglianese, addetto alla spesa detenuti, Castorina, aiuto magazziniere, e Pierpaolo Tormento, tutti e tre finiti in carcere, i quali per l’approvvigionamento di dispositivi telefonici, sim card, sostanze stupefacenti e altri oggetti non consentiti si avvalevano dei congiunti; Gaglianese, ad esempio, del suocero Angelo Pino (ai domiciliari) e della convivente Giada Pino, finita in carcere. E poi di Bruno Bartolomeo e la sua compagna Immacolata Erra, finiti in carcere; Garofalo Gino, arrestato nell’operazione “Reset”, Domenico Cicero, Chiappetta, Franco Tormento, ai domiciliari, padre di Pierpaolo Tormento, finito invece in carcere. E poi Pietro Martire (ai domiciliari), difensore di fiducia di Castorina; Francesco Viapiana (in carcere) e Loredana Cara, madre di Tormento Pierpaolo, finita ai domiciliari.
Secondo gli inquirenti e così come riporta il gip nell’ordinanza «tutti mettevano a disposizione dei sodalizi carte prepagate ricaricabili, PostePay, sulle quali venivano accreditate le somme di denaro» frutto della cessione ad altri detenuti di «oggetti non consentiti e di sostanze stupefacenti». In questo caso, a supporto della tesi accusatoria, c’è l’analisi dei movimenti registrati su due carte prepagate “PostePay” utilizzate da Riccardo Gaglianese e dalla compagna Giada Pino per farvi “confluire” i proventi degli illeciti. Sarebbero così state rilevate ricariche effettuate da congiunti dei soggetti detenuti e da persone direttamente collegate. Nell’arco temporale tra il 7 aprile 2021 e il 30 ottobre 2022, le somme totali registrata ammontano a 48mila euro, segnatamente 38.386,00 + 9.544,20 euro. Ricariche PostePay, ma non solo. I detenuti avrebbero ricevuto compensi anche sotto forma di “tabacchi” che, in occasione del colloqui con i propri familiari, riuscivano a far uscire dall’istituto, ai fini della successiva cessione all’esterno. «(…) se ti vogliono ‘strozzare’, non gliele dare perché… perché lo sappiamo che tu guadagni il 5% per un pacchetto, ti facciamo guadagnare il 10 o il 20%…», questo un estratto della conversazione tra Franco Tormento e un detenuto, intercettato dagli inquirenti.
Il ruolo di promotore, inteso come colui che si fa iniziatore del sodalizio, è assunto, con riferimento a entrambi i sodalizi, da Gaglianese, Bruno Bartolomeo e Pierpaolo Tormento. Gaglianese, in particolare, seppure detenuto presso la Casa circondariale di Catanzaro, avrebbe svolto il ruolo di «promotore del sodalizio» dando direttive agli altri sodali e, in particolare, «servendosi della collaborazione della compagna e del suocero». Sfruttando l’attività lavorativa svolta all’interno dell’istituto penitenziario, quale addetto alla spesa dei detenuti, «avrebbe ceduto costantemente dispositivi telefonici e sim card». Inoltre, Gaglianese con la compagna Giada Pino avrebbe anche avviato «un canale di rifornimento di telefoni cellulari da Napoli».
«Appunta’ qua comandiamo noi altri… Qua comandiamo noi altri, comandiamo… Tu appuntato fai il portapacchi, apri, chiudi…». Il carcere di Catanzaro veniva definito un “hotel” dal detenuto Gaglianese, nonché un posto in cui erano proprio i detenuti a comandare. Uno status che subisce un primo contraccolpo solo dopo la sostituzione della Paravati con la nuova direttrice Delfino. «È impostato male, perché prima gli fanno fare tutto… e poi si alzano la mattina e ti vietano di fare le cose che hai fatto per due anni, tre anni di fila, è impossibile! Capito amò…». Gaglianese, parlando con la compagna, si lamenta che, nel giro di poco tempo, le regole erano cambiate e che quello che era stato consentito per tre anni di fila ora non lo era più. «…è venuto il direttore nuovo, sta cagando la minchia in tutti i modi, ora fino alle undici e trenta mi tengono aperto al mattino e poi ci chiudono, tutto il giorno chiusi». (g.curcio@corrierecal.it)
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