REGGIO CALABRIA «Una solida struttura associativa dedita al traffico di sostanze stupefacenti del tipo marijuana, cocaina ed eroina». Emerge anche questo nell’attività d’indagine svolta dai carabinieri e contenuta nell’inchiesta con cui la Dda di Reggio Calabria ha smantellato un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita di immobili di edilizia popolare e alla commissione di condotte estorsive, capeggiata dal boss Carmelo Consolato Murina, finito in carcere, per gli investigatori il capo promotore dell’associazione, reggente della cosca Franco-Murina, federata con il potente clan Tegano-De Stefano. L’operazione “Case popolari” ha portato all’arresto di 9 persone (2 in carcere e 7 ai domiciliari), in totale sono 37 gli indagati.
Nelle carte dell’inchiesta, secondo la ricostruzione fornita dai carabinieri, l’associazione dedita al narcotraffico aveva come «figura apicale», il «dominus» Murina, «il quale finanzia il traffico di stupefacenti e contratta le grosse partite di droga», avvalendosi della «rilevante collaborazione» di Giuseppe Agostino, anche lui in carcere, «il braccio operativo» che «si occupa di tenere i contatti con i sodali, posti a capo dei nuclei di spacciatori, nonché di recuperare il denaro ricavato dalla vendita dello stupefacente effettuata dai predetti nuclei. Inoltre – rilevano gli investigatori – Agostino «si dedica contemporaneamente sia alle cessioni al dettaglio che alla contrattazione di importanti partite di sostanza con terzi acquirenti». Agostino, si legge nella ricostruzione, «si interfaccia e collabora sistematicamente con il nipote Carmelo Siclari (indagato) che, nonostante la giovane età è in grado di muoversi con estrema disinvoltura e competenza nel mondo degli stupefacenti, capace di rifornire, in tempi brevi e tramite canali personali, cospicue quantità di droghe, sia pesanti che leggere, così palesando esperienza ed una notevole caratura criminale». Tra gli indagati, e per gli investigatori con ruoli di rilievo, ci sono poi Francesco Mario Dattilo e Giuseppe Palmisano, il primo «a capo di un gruppo di spacciatori che gestisce nell’attività di cessione della cocaina ricevuta dal capocosca per conto del quale si occupa anche del recupero dei relativi profitti illeciti; l’altro, Palmisano, «a seconda della necessità, collabora con Agostino sia nella realizzazione e cura della piantagione di marijuana che nello spaccio di sostanza stupefacente».
«Forse non ci siamo capiti, se ora c’è la nera (ndr per l’eroina), se tu me la porti domani… io già gliela porto!!...cosi ci avviciniamo con tutto alle 30.000,00 euro, ..così pure uno per volta gliene possiamo portare (ndr ovvero un chilogrammo per volta)!!…questo mi sta pregando come i santi… ma non possiamo andare ora a vedere se hanno disponibilità, per la nera?».
Conversazioni come queste per gli investigatori sono la dimostrazione di «come la natura dello stupefacente venga direttamente esplicitata dai conversanti atteso che nel gergo del mercato degli stupefacenti con il termine “la nera” si intenda l’eroina». «La perfetta conoscenza dei prezzi della sostanza nelle varie fasi della filiera distributiva e la programmazione di una sistematica attività di approvvigionamento dì quantità importanti di stupefacente nei confronti di ulteriori spacciatori evidenziano certamente lo stabile operare dei due indagati nel mercato degli stupefacenti».
In una conversazione – ricostruiscono gli investigatori – si sente Agostino che insieme al nipote si organizzava per realizzare plurime forniture di eroina al di là dello Stretto, nella città di Catania, sfruttando i contatti con i vari fornitori calabresi. In un’altra conversazione, sempre intercorsa tra Siclari e Agostino, si evince che i due fossero destinatari di una richiesta di sostanza stupefacente del tipo cocaina – “bianca”- pari a 20 grammi da parte di un soggetto non identificato; «sebbene i due non fossero in grado in quel momento di soddisfare la domanda, Agostino invitava ugualmente il cessionario ad andare a recuperare il denaro, così da prendere tempo e reperire la sostanza».
Si evidenzia – si legge nelle carte dell’inchiesta – come «Siclari nel manifestare la sorpresa per la temporanea indisponibilità della sostanza, facesse esplicito riferimento alla dimensione associativa della gestione dello stupefacente – “ma è possibile che non ne abbiamo in nessuna parte??” -, così come anche Agostino – “a quello gliela abbiamo data giovedì pomeriggio“. Proseguendo, emerge ancora una volta la natura sistematica dello spaccio laddove, a causa della temporanea indisponibilità di cocaina, Agostino si lamentava con il correo della loro impossibilità di soddisfare ulteriori clienti dei quali, in considerazione della abitualità degli acquisiti, indicava anche le relative grammature richieste». Agostino – scrivono ancora gli investigatori – riconduceva la condotta di spaccio ancora una volta nell’alveo del contesto associativo: «Ne avremmo potuto vendere 100!!!…». (m.r.)
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