GIOIA TAURO Ha parlato anche dei suoi rapporti con la ‘ndrangheta, il narcotrafficante “pentito” Bruno Carbone, socio del broker internazionale Raffaele Imperiale e come lui collaboratore di giustizia. Carbone, davanti ai giudici della settima sezione penale di Napoli (presidente Marta Di Stefano), e al sostituto procuratore Maurizio De Marco, ha risposto alle domande degli avvocati del collegio difensivo, in video collegamento (sempre ripreso di spalle) dalla località segreta dove è detenuto. Era gennaio 2024 quando Carbone riferiva dettagli in merito al traffico di droga realizzato nel porto di Gioia Tauro, finito al centro di una inchiesta della Dda Reggina che ha scoperto una presunta organizzazione criminale dedita al narcotraffico internazionale.
Secondo il pentito:
«Il porto di Gioia Tauro era sotto il comando di Bartolo Bruzzaniti. Io ero in rapporti con i Mammoliti (una ‘ndrina calabrese) che acquistavano la cocaina a Napoli o a Roma». Bartolo Bruzzaniti, originario di Locri, arrestato in Libano, è ritenuto «un noto narcotrafficante», come emerge dalla recente inchiesta. Carbone ha fornito anche informazioni circa il trasferimento del denaro per l’acquisto della cocaina. «Da Panama, dall’Ecuador, dalla Colombia» semplicemente «con un click, oppure con un messaggio chat, attraverso i cambisti con i quali si era instaurata enorme fiducia. Così venivano trasferiti i soldi per la droga, in qualsiasi parte del mondo, io con la mia cocaina rifornivo tutta Napoli».
Il nome di Bartolo Bruzzaniti alias “Gandhi” finisce nell’inchiesta della Distrettuale Reggina. Che ritiene il narcos, in relazione al contesto territoriale calabrese, pronto ad appoggiarsi ad «una specifica struttura operativa, composta anche da squadre di operatori portuali infedeli, dotata di elevatissime disponibilità finanziarie allo scopo di commettere più delitti consumati per reperire ed acquistare all’estero, importare, trasportare in Italia attraverso le navi cargo in arrivo al porto di Gioia Tauro e commercializzare ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina». Bruzzaniti, secondo l’accusa, avrebbe curato le necessarie interlocuzioni «con la diversa associazione capeggiata da Raffaele Imperiale e Bruno Carbone, unitamente ai quali operava». Quest’accusa è oggetto di una indagine aperta a Napoli. Tuttavia, i tre – in concorso con altri soggetti non meglio identificati – «pianificavano l’importazione, occupandosi di garantirne la riuscita, dall’imbarco al Porto di Turbo fino allo sbarco a Gioia Tauro, mantenendo i contatti con i narcotrafficanti colombiani, con gli importatori calabresi, e con i soggetti deputati a portare la sostanza fuori dallo scalo calabrese». Bruzzaniti si sarebbe occupato di fornire «le specifiche relative al container ed alla nave su cui viaggiava lo stupefacente, e riceveva le indicazioni su come posizionare lo stupefacente all’interno del container stesso, in modo da eludere i controlli doganali». Tutte informazioni poi trasmesse a Raffaele Imperiale che «collaborando costantemente con Bruno Carbone – le girava ai soggetti colombiani non meglio identificati che materialmente detenevano la sostanza».
E’ uno degli indagati, Mario Giuseppe Italo Solano a fare capolino nel capitolo dedicato a Bruzzaniti. Chi indaga, indica il funzionario doganale del Porto di Gioia Tauro impegnato a istruire «i gruppi sudamericani sulle modalità di carico dello stupefacente più opportune per occultare la sostanza al passaggio allo scanner».
Successivamente, «informava il gruppo importatore del fatto che la Gdf di Gioia Tauro avesse predisposto un’attività di “consegna controllata” sul container di interesse». In una intercettazione, un soggetto informa Bruzzaniti della riuscita di una importantissima operazione illecita che si stava pianificando (l’importazione dello stupefacente dal porto di Turbo in Colombia), «quella da 300 panetti di cocaina». L’interlocutore attesta «il buon funzionamento della “dogana” («Vi confermo che la dogana funziona bene») e fornendo informazioni specifiche sulle modalità di alterazione del controllo doganale sul container che, seppur oggetto di una verifica approfondita tramite scanner e successiva ispezione, era stato fatto “passare” nonostante fosse contaminato». Bruzzaniti, a quel punto, avrebbe fatto riferimento al doganiere infedele promettendo in suo favore una «pensione dorata» quale contropartita per i servigi resi nei traffici. Tuttavia, nonostante le comunicazioni ricevute nel merito, Bruzzaniti non è coinvolto nell’affare da 300 panetti di cocaina, ma chi lo rende edotto «ha inteso riferirgliene i dettagli per illustrargli il buon funzionamento del dispositivo corruttivo, in vista del “lavoro di Turbo” congiuntamente avviato».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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