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l’inchiesta

Le cosche calabresi dietro le frodi fiscali e il riciclaggio in Emilia. «C’è una parte di ‘ndrangheta, ci autorizzano loro»

Tra i 12 soggetti arrestati anche cutresi. L’imprenditore arrestato da mettere nella rete del “team di Reggio”: «Facciamo il ca*** che ci pare»

Pubblicato il: 20/02/2024 – 18:59
di Giorgio Curcio
Le cosche calabresi dietro le frodi fiscali e il riciclaggio in Emilia. «C’è una parte di ‘ndrangheta, ci autorizzano loro»

LAMEZIA TERME Un’organizzazione stabile, composta da “capi” e “promotori”, individuati nei «fratelli Gionata e Samuel Lequoque, mentre la figura apicale, con capacità organizzative e autonomia decisionale, è stata individuata in Leonardo Ranati». È quanto è riuscita a ricostruire la Procura di Reggio Emilia la cui indagine condotta dai Finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Emilia e di altri Reparti, nonché del Servizio Centrale Investigativo sulla Criminalità Organizzata (SCICO) e militari dell’Arma dei Carabinieri del locale Comando Provincia, ha portato questa mattina all’arresto di 12 persone (5 in carcere e 7 ai domiciliari). La Procura di Reggio Emilia, dunque, avrebbe ricostruito una serie di operazioni di infiltrazione nel tessuto economico regionale e conseguente gestione criminale, con influssi sull’intero territorio nazionale, a opera del sodalizio, condotte da soggetti calabresi originari di Cutro, professionisti calabresi e campani, soggetti nativi di Reggio Emilia e altri originari della Provincia di Foggia. È stato possibile individuare nella sede fisica, a Reggio Emilia, della Società Passione Motori s.r.l., il luogo, invece, dove avvenivano la maggior parte delle riunioni e degli incontri dei sodali, a volte anche con terze persone, e dove venivano prese le decisioni fondamentali e programmatiche per la vita della associazione.

«Ci autorizzano loro»

«…sì non è una ‘ndrangheta vera e propria perché non è una vera e propria, c’è una parte di ndrangheta che, diciamo così, ci consente di fare certe operazioni, autorizzate da loro…». A parlare in una conversazione intercettata dagli inquirenti sono due dei 108 indagati, Leonardo Ranati e Giancarlo Valli. Secondo gli inquirenti si tratterebbe di un tentativo, da parte di Ranati, di reclutare Valli come associato vista l’esigenza di all’assunzione di un ulteriore prestanome per il sodalizio e che si incentra poi sulle modalità operative commerciali delle società assegnate alle teste di legno e al relativo compenso mensile. «… lui quando è il momento viene faccio tutto io, lui compra e poi dopo fa sparire l’azienda, per dire lui siccome è imprenditore viene in Italia, vuole investire, la fa lavorare un po’ e poi dopo la sposta in Grecia, cioè intanto sposta già ovviamente tutta l’amministrazione…». Il dialogo, inoltre, consente a Ranati di «illustrare le finalità del sodalizio, ossia quelle di reinvestire (tra l’altro) all’estero i profitti dei reati fiscali e occultare le società ormai non più operative che erano servite per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti», secondo l’accusa.

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L’imprenditore arrestato da mettere “nella rete”

Nell’inchiesta, gli inquirenti hanno poi messo in evidenza le modalità con cui i sodali discutono prima di accogliere un nuovo imprenditore nella “rete” di emissione e utilizzo di fatture false, come nel caso di un imprenditore romagnolo, arrestato e finito in carcere a settembre del 2020. «Sappiamo dove abita questo qua» dice Lequoque in una conversazione intercettata, «Pietro sa dove, dove abitava… chi è sua moglie, suo figlio… tutto. Infatti, è la prima cosa che mi ha detto: “Io so tutto di lui”» risponde Leonardo Ranati. Conversazione che lascia intendere come e in che termini il gruppo criminale fosse in grado di acquisire la gestione di società formalmente intestate a terzi, sfruttando ad esempio il precedente rapporto d’affari e la temporanea difficoltà del titolare. Così come ricostruito dall’accusa, infatti, il gruppo criminale, dopo aver intrapreso rapporti affaristici con l’imprenditore romagnolo arrestato, «non manca di sfruttare l’opportunità di entrare nella concreta gestione delle aziende “a costo zero” e con la successiva possibilità di poterle utilizzare quali ulteriori schermi societari utili alla commissione dei delitti fiscali propri del sodalizio. «(…) a proposito… io ieri sera ho parlato con mio cugino, io ho l’amministratore perfetto da metter dentro: Antonello di Varese è il nipote di mio padre…» dice Samuel Lequoque in un’altra conversazione intercettata. «(…) che metta a disposizione la faccia, la firma e tutto che dice: se dobbiamo organizzare… organizzo, se dobbiamo fare un botto… facciamo il botto» risponde Leonardo Ranati. Secondo l’accusa, conversazione che consente di appurare come gli indagati «avessero come obiettivo finale, più che prestare soccorso all’imprenditore romagnolo, di subentrare nelle sue società e destinarle agli obiettivi del sodalizio a costo zero, cioè senza dover condividere gli utili».

Il “team di Reggio”

Dopo l’arresto dell’imprenditore, Leonardo Ranati e Pietro Penserini si sono recati a Cesena. È l’11 settembre 2020 e in auto, i due, nel frattempo intercettati, delineano la necessità di sostituire l’imprenditore con un terzo soggetto, possibilmente del settore. «(…) ci vuole un amministratore che sia in grado… una persona in gamba che riusciamo a colloquiare con Gabriele… io proverei piuttosto che lo prendiamo uno di noi, cioè un nostro uomo ma un uomo che…» «ci vorrebbe una persona di fiducia, una persona che sia dei nostri». Le successive conversazioni una settimana dopo l’incontro di Cesena, hanno poi effettivamente rivelato – secondo gli inquirenti – quelli che erano i veri propositi del sodalizio: una volta ottenute le necessarie deleghe a operare, il “team di Reggio” avrebbe poi deciso come procedere, se utilizzarle sulla falsa riga delle altre società da loro gestite oppure se farle “saltare”, dopo averne prosciugato i conti sui quali sarebbero stati fatti pervenire finanziamenti, anche pubblici, legati all’emergenza sanitaria in corso da Covid-19. Obiettivo da raggiungere con l’ipotesi di affidare la gestione di diritto della società a un cugino dei Lequoque «che avrebbe svolto il ruolo di testa di legno, secondo una prassi consolidata nella gestione delle società sfruttate dall’associazione».

«Facciamo il c**** che ci pare!»

Il discorso è stato poi affrontato anche da Ranati insieme a Giovanni Battista Moschella, in una conversazione (anche questa) captata dagli inquirenti. «(…) considerando che lui è già nella merda perché comunque è da giovedì scorso che nessuno risponde al suo telefono e tutti sono, non preoccupati, di più… bisogna assolutamente prendere in mano la situazione…» dice Ranati «…facciamo poi quel cazzo che ci pare…» «…secondo lui si sta parlando di 500mila euro eh…». (g.curcio@corriereca.it)

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