CUTRO Storie di umanità e di solidarietà ma anche storie di insensibilità politica e burocratica. “La Stampa” racconta la strage dei migranti a Cutro quasi un anno dopo, un reportage sul posto per scoprire il volto accogliente della Calabria e il volto meno accogliente delle istituzioni. C’è la signora Angela Diletto Macrì che ogni giorno porta fiori alle tombe dei migranti sepolti senza nome nel cimitero di Cutro, c’è la testimonianza del sindaco di Cutro Antonio Ceraso secondo cui “siamo anche oltre integrazione, chi è straniero è parte del paese, per questo la strage del 26 febbraio scorso è stata vissuta come un lutto di famiglia”, anche se il sindaco rivela di non essere mai andato quest’anno sulla piaggia, “sarebbe stato impossibile fare il bagno”. Lo stesso vale – si legge nel racconto de “La Stampa” – per Vincenzo Luciano, uno dei primi pescatori ad arrivare sulla spiaggia di Cutro subito dopo il naufragio: “Da quel giorno continuo a passare sulla spiaggia ma non sono più andato a pescare, non ci riesco”. E poi i sopravvissuti che hanno trovato lavoro soprattutto a Crotone, grazie anche al “cuore grande” della Calabria. Ma ci sono anche i risvolti tristi, come racconta Francesca Rocca, responsabile dell’area migrazioni della cooperativa Agorà Kroton per conto dell’assessorato comunale al Welfare coordina il progetto di inserimento spiegando che “dopo la strage le maglie dell’accoglienza anziché allargarsi si sono ristrette ulteriormente”, tanto è vero che solo uno tra i sopravvissuti ha ottenuto il permesso di soggiorno. “Quante promesse ci hanno fatto, tutte finite nel nulla”, dice uno dei migranti a “La Stampa”, che parla di “ultimo sfregio” nel titolo del reportage.
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