REGGIO CALABRIA «Là è buono, messi in questa maniera! /possiamo aprire i primi quattro!». «Invece nei borsoni la vedono!». Direttive ben precise da parte di chi nel settore ha esperienza consolidata. Le conversazioni captate dagli investigatori nell’agosto 2022 sarebbero la dimostrazione che Mario Giuseppe Italo Solano era il «doganiere al soldo dell’organizzazione criminale e individuato dalia compagine per avere garantito, con abitualità, il buon esito degli affari illeciti». Nelle carte dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di tre persone (due in carcere e una ai domiciliari) e che vede altri quattro indagati, vengono ricostruiti i dialoghi intercettati tra Solano, in servizio all’ufficio antifrode, fino al 2021 addetto al “controllo scanner” e successivamente alla “visita merci”, e Domenico Cutrì (indagato), secondo gli investigatori «faceva da tramite fra gli “esfiltratori”» e «il gruppo di doganieri corrotti operanti all’ufficio antifrode dell’ADM di Gioia Tauro: in particolare, egli individuava e forniva informazioni sui container utili per il trasporto dello stupefacente fuori dal porto». Era Cutrì, scrivono i pm, a veicolare a Giuseppe Papalia (anche lui indagato) «e per il suo tramite ai cartelli sudamericani, le informazioni fornite da Solano, relative alle modalità dì carico dello stupefacente, finalizzate a consentire di occultare la sostanza al passaggio allo scanner».
Inizia in chat una conversazione di particolare rilevanza secondo gli inquirenti. E’ Cutrì a scrivere a Solano di un «progetto validissimo» spiegando di voler fargli «capire che le cose sono serie». Un «progetto» che riguarderà proprio alcuni traffici di cocaina tramite il porto di Gioia Tauro che il doganiere avrebbe dovuto favorire e che verrà approfondito qualche giorno dopo nel corso di un incontro presso l’Agenzia delle Dogane e del Monopoli di Gioia Tauro.
Un dialogo, si legge, dal «tenore chiarissimo». L’uomo – scrivono i pm – specificava al Solano di essere in attesa di un container in arrivo per il 3 settembre “aspetto un container” e «tanto bastava perché l’altro si mettesse immediatamente a disposizione e in attesa di maggiori notizie da parte dello spedizioniere (“poi ti avviso io, almeno, ti faccio sapere”)». Per questo Cutrì «si era informato dell’imminente intervento al ginocchio dell’altro (che lo avrebbe costretto ad una prolungata assenza dal servizio), considerato il ruolo nevralgico che il Solano rivestiva per i traffici illeciti e la necessità che l’uomo fosse operativo per le fasi del controllo che dovevano assicurare le importazioni di stupefacente. Prova ne è che, ottenuta notizia del fatto che la data dell’operazione chirurgica non fosse ancora stata definita (“Ancora non so… Forse a meta settembre…”), Cutrì era parso decisamente più sereno (“Bene per far capire che le cose sono serie e che il progetto e validissimo”), sicuro del fatto che Solano ne avrebbe subordinato la fissazione rispetto alle ben più urgenti e redditizie esigenze di natura illegale dell’organizzazione».
«Là è buono, messi in questa maniera! /possiamo aprire i primi quattro!». «Invece nei borsoni la vedono!». Sono i “consigli” che Solano fornisce a Cutrì. Il doganiere, scrivono i pm, «si assicurava che le modalità di occultamento della droga in questo container fossero diverse da quelle realizzate in un diverso analogo precedente affare: “come quelli là?”». Per argomentare meglio in cosa consistessero le proprie perplessità, Solano aveva fornito a Cutrì la delicatissima informazione relativa ad un quadruplo sequestro di droga recentemente effettuato al porto di Gioia Tauro: «Ne hanno presi quattro!». Cutrì, si legge, «si informava allora su come fossero stati occultati i 4 carichi di stupefacente oggetto di sequestro; Solano prontamente rispondeva che gli stessi erano stati occultati “nelle botole” relative agli impianti elettrici dei container reefer». E ancora: «Lo hanno fatto con quello schema?», chiede Cutrì.
Indicazioni, scrive il gip, «assolutamente veritiere» e «di estrema importanza», «finalizzate ad orientarne i traffici in maniera più redditizia, sfruttando le conoscenze apprese nell’ambito del proprio lavoro e l’esperienza conseguita sul campo». Ma il contributo di Solano non si sarebbe limitato a fornire a Cutrì la propria opinione “tecnica”, per il gip era «a tutti gli effetti la fonte delle indicazioni sull’occultamento della droga: ”qui si mette dentro, in tutti i cosi, come ti ho detto…”». Ma il doganiere nel corso della conversazione non nasconde i suoi timori, in particolare riguardo all’utilizzo dei telefoni criptati: «Non mi fido», diceva a Cutrì, il quale pur condividendo i timori di Solano riteneva l’utilizzo delle apparecchiature indispensabile per intrattenere le delicate comunicazioni a distanza di natura illecita, necessarie per chi opera nel narcotraffico: «Lo so, pure io, però che vuoi… è l’unico!».
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