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‘Ndrangheta, Gino Molinetti «figura di riferimento» a Gallico. «L’unico a cui rivolgersi in caso di difficoltà»

«Stretti» i rapporti tra l’articolazione di Gallico e la cosca De Stefano di Archi, con “zio Gino” che aveva imposto «il proprio imperativo»

Pubblicato il: 22/02/2024 – 19:05
‘Ndrangheta, Gino Molinetti «figura di riferimento» a Gallico. «L’unico a cui rivolgersi in caso di difficoltà»

REGGIO CALABRIA Le indagini hanno messo in evidenza gli «stretti rapporti tra l’articolazione di Gallico e la cosca De Stefano di Archi». Gino Molinetti aveva imposto «il proprio imperativo». La figura dell’esponente della cosca De Stefano dal «corposo curriculum criminale» emerge nell’inchiesta “Gallicò” con cui la Procura di Reggio Calabria ha disarticolato il clan che nel territorio di Gallico controllava tutto in modo capillare: dalle attività commerciali, ai supermercati, centri scommesse, fino al mercato del pane. E Molinetti – ha spiegato in conferenza stampa il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri – «viene individuato come figura di riferimento». Esponente criminale di primissimo piano, Gino Molinetti è stato già condannato per il reato di partecipazione alla cosca De Stefano-Tegano. Più recentemente, nel luglio 2022 è stato nuovamente condannato in abbreviato nell’ambito del processo “Epicentro” alla pena di anni 20 di reclusione in virtù del suo ruolo apicale nella ‘ndrangheta reggina. «Si faceva promotore di un sottogruppo operativo, animato da spinte scissioniste per ottenere maggiore autonomia ed il controllo mafioso del territorio di Gallico». «Già tale sentenza – scrive il gip – evidenzia il tentativo di quest’ultimo di ingerirsi nelle dinamiche criminali di Gallico, il che aveva causato frizioni con i vertici della cosca De Stefano».
Un legame, quello tra Luigi, detto “Gino” Molinetti con l’articolazione di Gallico riunitasi intorno alla figura di Antonino Crupi e Mariano Corso, che emerge anche dalle dichiarazioni di Maurizio De Carlo, esponente della cosca De Stefano e cognato di Molinetti, diventato collaboratore di giustizia nel 2020 dopo essere stato coinvolto nel procedimento “Malefix”.

«Qualsiasi cosa che hai non devi parlare con nessuno tranne con Gino»

Molinetti era «”molto amico” di “questi ragazzi” di Gallico e in particolare di Crupi, il quale, a sua volta, si accompagnava con tale “Mario”, Domenico Mariano, detto appunto “Mario” e con altro indagato, Rocco Marcorese ». A raccontarlo è proprio De Carlo. E la figura centrale di Molinetti emerge anche nelle numerose conversazioni intercettate dagli investigatori. A Gallico erano ben consapevoli «dell’elevato rango criminale» dell’esponente dei De Stefano, che «evidentemente ricopriva una posizione gerarchicamente superiore a tutti gli appartenenti alla ndrangheta gallicese». «Io ti ho chiamata perché,.. all’epoca, Nino mi ha detto a me… qualsiasi cosa che hai bisogno, non devi parlare con nessuno tranne con Gino!…». A parlare e a chiedere aiuto a Molinetti è Antonino Utano, che ribadisce, nel corso di una conversazione intercettata, come fosse stato Antonino Crupi a indicargli Gino Molinetti come referente in caso di problemi. Utano, che per rivolgersi a Molinetti ricorreva all’espressione “zio Gino”, «continuava a chiedere un sostegno economico che sarebbe dovuto arrivare attraverso Mariano Corso ribadendo che Antonino Crupi gli aveva riferito di fare riferimento a Gino Molinetti per risolvere problematiche all’interno della ‘ndrangheta gallicese», «unico soggetto a cui rivolgersi in caso di difficoltà in seno alla cosca». In tal modo, – scrive il gip – «risulta certificato, in modo plastico, lo strettissimo legame criminale esistente con Gino Molinetti che, in virtù del suo superiore potere di ‘ndrangheta, avrebbe dovuto essere messo a parte di informazioni sensibili relative alla cosca e, conseguentemente, intervenire a dirimere le eventuali controversie.
Ed era sempre lui a preoccuparsi e a farsi carico delle “problematiche” della cosca. «Ma io gliel’ho detto ma come siamo quattro mosche…voglio dire…che ognuno di noi… voglio dire…ma… chi lavora… chi qua…chi là…chi…», dice Molinetti, dimostrando di «ben conoscere quale fosse la situazione della articolazione di Gallico e, soprattutto, palesava come sul punto sì fosse confrontato anche con un terzo soggetto, rappresentandogli le difficoltà di quella cosca, ormai composta da pochi effettivi, peraltro ricorrendo alla prima persona plurale», [dobbiamo cercare di…], facendo così «emergere di appartenere al medesimo contesto associativo del suo interlocutore». (m.r.)

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